domenica 13 luglio 2008

La vita è dura...

LA VITA E’ DURA….QUAL VOLTA E’AMARA… PERO’, PERO’ LA VITA E’ BELLA…


Carlo ci aspettava, con fair play, imbracato con la camicia di forza. Stringeva tra i denti una sigaretta accesa che succhiava come fosse un lecca-lecca, lasciando che il fumo gli penetrasse nei polmoni e gli uscisse dalle narici e dagli angoli delle labbra, con uno sguardo dolce negli occhi affumicati a significare quanto la sua anima fosse in pace con il corpo.
Non appena ci scorse, sorrise e, facendo penzolare sul labbro inferiore la Malboro ligth(come cacchio facesse non l'ho ancora capito), esclamò per nulla sorpreso della nostra presenza: “l’avrei inchiappettata per quanto mi piace!”.
“Chi?…”- chiesi sorpreso.
“La Orsorci! Chi altri secondo te?- retoricò Sguizzi, cambiando immediatamente espressione e manifestando la solita eccitazione che gli sconvolge i lineamenti quando viene preso da uno dei suoi raptus;- ma l’hai vista quanto è bella?…-riretoricò.- snella e matronale allo stesso tempo, materna e sensuale, dolce e sicura, bionda e alta…; accavalla le gambe setificate come poche lasciando che siano sfiorate dagli sguardi quando passa la sinistra sulla destra… mi eccita come lo strip-tease che la Ferilli ha dedicato alla Roma!”.
“Tu sei pazzo, era una presa per il culo! Non si vedeva un “quiz di niente…”.
“Non sottilizziamo, l’eccitazione è proprio lì: vedere ma non vedere… intuire, immaginare, sognare…”.
“Ti ripeto, sei pazzo! Manderei Astolfo sulla luna a riprendere la boccettina del tuo senno se…”.
“Ma non dire cazzate- m’interruppe Carlo dolcemente- non fare il professore d’Italiano! Sii più pragmatico. Il bello è bello e mi suscita un non so che di possessivo, di esclusivo, una fame insaziabile che si placa solo dopo aver divorato, ingurgitato il nettare e l’ambrosia della vita. Del resto è per questo che mi trovo qui. Tutti pensano che io sia pazzo… anche voi, i miei colleghi; ma vi sembra pazzia desiderare una bella donna? Vi sembra pazzia cercare di avvicinarla, di presentarsi per esprimerle l’ammirazione, di arrotarle la lingua in un bacio appassionato?”
Forse non vi ho mai descritto il mio amico Carlo Sguizzi: riparo subito all’errore!
Carlo è un giovane di circa trentacinque anni, alto un metro e ottantacinque, nero di capelli e acqua di mare negli occhi; ha grandi spalle e una vita sottile ma robusta, da lottatore, come tutto il suo fisico, del resto; mani grandi, lunghe, affusolate e nervose; calza quarantacinque e pesa ottanta Kg; ama le battaglie, soprattutto quelle perse perché è un generoso, puro di cuore e buono di animo. Ha uno spirito critico e umoristico che lo distinguono dalla maggior parte di noi, eccetto me (sono il migliore!) e Gianni, che, quando non è rincoglionito, può reggergli il passo.
“Ma come le hai espresso la tua ammirazione?” –chiesi io che già immaginavo la scena.
“Beh! Le sono saltato addosso e l’ho…”.
“Cacchio! –lo interruppi- e ti sembra questo il modo di porgere gli omaggi?”.
“Ma dai, non fare il perbenista, non ti si addice!…” – e guardò Ofelia per averne conferma.
Gianni lo fissò esterrefatto; la Bonelli tra l’indignato e il rassegnato; la Tontak con un improvviso interesse ormonale.
Irene Belfagor, con il desiderio che le inturgidiva il seno e le chiappe, interruppe il nostro stato di riflessione con un sospiro degno del più cronico tra gli asmatici.
Accorse immediatamente, strano a credersi, il medico di turno.
“Shock anafilattico?”-si precipitò tutto speranzoso il “frullacervelli”, dando una scrollatina ai suoi piani bassi.
“No, grazie, Allah non vuole! –rispose Minchiuzzi, il tuareg italo-maregbino; poi in un flebile falsetto: non ne abbiamo bisogno”.
“Di cosa?”- chiese dubbioso l’elettroscioccante diapasonato.
“Ma dei profilattici- rispose baritonalmente Minchiuzzi (con una battutaccia da trivio, dicono i miei colleghi; perché quasi sordo, penso io) - preferiamo il coitus interruptus!”.
“Ho capito, ho capito…- si rassegnò il tritameningi - siete i degni compari del professore! Ma guarda un po’ in che mani debbono finire i nostri figli!”- disse e andò via scotendo il capo e dando una scrollatina al cavallo sudato.
Rimasti “inter nos”, Gianni si avvicinò a Carlo, gli posò paternamente la mano sulla spalla e: “l’hai guardata bene?- gli disse- Somiglia a Pippo Franco!”
Egidio, che voleva far bella mostra della sua cultura umanistica fondata sul “Bignami”, si associò e sentenziò sicuro: “E’ il ritratto spiccicato di Lorenzo il Magnifico!”.
Di fronte a tanto sfoggio, o scempio se volete, fui preso da un impeto inconsulto e mi precipitai verso il mio amico Sguizzi, prendendolo alla gola: “Vedi quanto sei strozzo? Rinsavisci, per Dio!”.
Disgraziatamente, nell’impeto, inciampai nel trespolo delle flebo: persi l’equilibrio e urtai contro qualcosa di veramente duro.
Poi fu il buio…
Oltre la siepe m’imbattei in un sogno straordinario…



GLI STATI GENERALI

L’aria era stagnante come le atmosfere di una ruota di bicicletta appesa al chiodo.
Gli uomini in divisa avevano un coltello fra i denti ed impugnavano mannaie affilatissime; Robespierre agitava a dritta e a manca la sua roncola sul collo di una schiera di docenti imbavagliati e bendati, illuminato da una aureola santificante.
La Orsorci, legata ad una lunga catena, scarmigliata, prona per terra, rosicchiava il capo di Demaune (per chi non ha letto il più volte da me stesso premiato “Homosex”, l’ex ex ministro della Pubblica Istruzione), “forbendolo ai capelli”.
Come dicevo, l’atmosfera era stagnante, ma non troppo, e si vivacizzava per le urla dei condannati a morte, ogni qual volta sentivano il tonfo del capo dei loro colleghi rotolare per terra.
L’ex ex ex ministro Dauronzio annaspava, invece, in una grande e putrida piscina pungolato da uno staffile agitato da un boia incappucciato da un gigantesco profilattico Atù, color pervinca; mentre l’ex preside del Benpensante, quello, per intenderci, degradato e trasferito in Sardegna, seduto su un WC di alabastro, da cui faceva capolino il volto di Merlinpace, emanava condanne a morte per i tecnici della P.I.
Poco più distanti, Minchiuzzi, Gianni ed io, legati in sella a tre tori neri, aspettavamo l’impiccagione per intelligenza col nemico.
Ai voglia noi tre a dichiararci deficienti e portatori di handicap cerebrale!…
Poi interveniva la cavalleria.
Il mio Knut,come una furia, compariva ringhiando nel campo del mio subconscio onirizzante e si avventava sulle bestie cornute che, spaventate, ci disarcionavano lasciandoci appesi a sgambettare in cerca di ossigeno.
Sudato e urlante mi svegliai di soprassalto.
Quando mi resi conto che si trattava di un sogno ero seduto sul water con il timore di veder spuntare fuori il capo di qualcuno dei protagonisti del mio incubo.
Mi rilassai con le abluzioni di rito e con una doccia gelata che mi ricondusse immantinente alla realtà.
A quel punto mi chiesi che fine avessero fatto i miei amici.
Il silenzio assoluto regnava nella dependance; neppure il solito abbaiare scassa palle di Knut turbava l’aria ovattata che mi circondava.
Insospettito, varcai la soglia del tinello.
Niente mobili, niente televisore, niente di niente, insomma.
Lo squallore regnava sovrano, come direbbero i miei coevi letterati.
Lo strano, più strano della prima stranezza che mi aveva stranito ab ovo, era dato da un vento di bora che soffiava solo nell’angolo in cui vi sarebbe dovuto essere il divano in pelle di rinoceronte maculato di fango che, ricordavo, aveva condiviso le mie tribolazioni e le mie gioie.
Lo spettro di una donna nuda, che sebbene spettro mostrava un seno da far invidia alla Bellucci e altro che non sto a dirvi per non risospingervi verso le adolescenziali abitudini amanuensi, con il sorriso stampato sulle labbra diafane, col medio della mano destra mi indicò la finestra che dava sul cortile interno dell’albergo.
Fervido assertore, da sempre, del motto latino “in medio stat virtus”, segui il consiglio della fata turchina e mi affacciai. Una mano sconosciuta mi tirò per i capelli, mi precipitò nel vuoto e… mi ritrovai sulle ginocchia della Orsorci, che dopo essersi saziata della sua precedente vittima, ardeva dal desiderio di assaporare il mio cuoio capelluto, come dimostravano lo stridio dei denti e lo schioccare della lingua.
Mi risvegliai, anzi mi svegliai definitivamente e mi accorsi di aver sognato nel sogno, cosa che capita solo ai geni.

tratto da Homosex- Si vive di solo pane di natalino lattanzi

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