lunedì 7 dicembre 2009

UN CASO DI MALASANITA'

un caso di malasanità: la supplentite

È una malattia poco conosciuta, ma non rara. Colpisce in particolare i docenti di merceologia, ma è pericolosamente contagiosa.
Non sono pochi, infatti, i proff. che ne sono colpiti, alcuni in modo grave, altri in forma lieve.
Purtroppo non esiste vaccino.
Mocchh’ a chi v’è murt’.
È Sandrino Tullìolo, che si presenta, più o meno così, ogni mattina.
È con noi da un lustro abbondante.
Medio-basso, brizzolato, carnagione gelso bianco maturo, coppola mafiosa, occhi strabordanti, dentatura a fessure, è dotato di una delicatezza senza pari.
Si presenta ogni mattina, rumoroso come un elefante in un deposito di tegami di ferro, animato da un’unica intenzione: supplire a pagamento tutto e tutti, anche il preside, se fosse possibile.
Sappiamo che il suo primo pensiero, non appena desto, è rivolto affettuosamente a noi, al corpo docente cioé.
Il suo ingresso in segreteria è preceduto da una sosta in portineria, al cui sportello, su una mensola, è il registro delle assenze.
Passa in rassegna prima quelli che il giorno prima avevano dato segno di essere in odore di influenza porcina, poi quelli che avevano lamentato mal di schiena e scricchiolio delle ossa, poi i docenti provvisti di 104 per la tarda età dei parenti stretti e, infine, quelli più anziani, i pensionandi.
Augura a tutti un impedimento legato a morte prematura, morte matura, morte degli avi per ictus, infarto, o che so io, e, dulcis in fundo, ripercorre a mente i nomi dei colleghi quotidianamente sulla circonvallazione, perché non si sa mai, un incidente può sempre capitare.
Certo, più serio è l’intoppo più si allungano i tempi di assenza: che siano almeno tre, però, ma anche uno non guasta.
Eh sì, perché Sandrino ha dato la sua disponibilità tutti i giorni, in tutte le ore di buco e no.
Qualcosa – pensa – deve pur uscire.
Il morbo lo attanaglia in modo feroce e, quando entra in crisi d’astinenza, sfodera un repertorio in lingua indigena che la Zanichelli dovrebbe approfittarne per tirar fuori l’ennesimo dizionario.
A fine quadrimestre si ritrova con un monte ore di supplenza che supera quello curriculare; tanto c’è il compresente, Masino Lafaina, con cui divide fughe e imboscamenti.
Perché, dovete sapere, Lafaina è pure lui gravemente ammalato.
La malattia si presenta in varie forme; quella di Masino è supplentite paraculata.
Chi ne è portatore mostra grande cortesia, sfodera sorrisi a iosa, saluta.
Purtroppo il morbo in soggetti di questo tipo è subdolo, nascosto, ma estremamente letale.
Come complicanza ha la chiarchiarite, che trasforma il portatore in (si spera) innocuo iettatore.
Con fare nonchalantico (neologismo di origine barbarica), Lafaina, non appena c’incontra (ma noi pensiamo che faccia apposta a incontrarci), s’informa se tutto sia a posto, se deve sostituire qualcuno, che glielo si dica in tempo altrimenti ha da fare, se i suoi teorici, lui che è un pratico, sono presenti o se deve sciroppare in solitudine le ore di lezione.
Poi, dando a intendere che ha dimenticato qualcosa in portineria, si avvicina alla sacra bibbia e fa scorrere gli occhi a fessura sulle stanche pagine. Mostra sommo gaudio se vede il suo nome tra i tanti prescelti e va in classe con aria sconsolata se manco un’ora gli è stata attribuita. Però si rassegna e poco dopo, se t’incontra nuovamente, ti risaluta a occhi bassi con un lieve sorriso che gli increspa le labbra.
È lì che entra in gioco la chiarchiarite: chissà che maledizione sta invocando su di te!
Per fortuna ricorrono vari rimedi per non essere toccato dal maleficio: il più efficace consiste nel toccarsi contando sino a 13 e mezzo, ma ve ne sono altri, anch’essi efficaci. È sufficiente, di solito, impugnare saldamente un mazzo di chiavi, incrociare le dita, stringere cornetti e gobbetti nel palmo della mano. Solo come estrema ratio occorre segnarsi con un aglio ed esclamare a alta voce vade retro satana.
Quest’ultimo rimedio è però vivamente sconsigliato perché gli agnostici ti prendono per pazzo.
Lafaina si accompagna spesso a Tonio Hazzone (perché lo pronunciamo alla toscana), uomo di non gradevolissimo aspetto per la consuetudine che ha, da quando ha contratto la malattia, di sfregare energicamente il suo posteriore. Ovviamente nessuno di noi è disponibile a scambiare con lui strette di mano e, quando proprio non ne possiamo fare a meno, subito dopo corriamo in bagno a lavare i nostri arti prensili.
Anche Hazzone ha crisi di astinenza, specie in prossimità delle feste natalizie quando, magicamente, cessano le assenze e con esse le supplenze. L’anno scorso Tonio ha trascorso la vigilia in sala operatoria per la più grave crisi avuta in corso di supplentite. Prese a grattare con tale veemenza il suo posteriore da irritare irrimediabilmente le emorroidi, tanto che fu necessario l’intervento. Per più di un mese non è venuto a scuola ed è stato supplito per lo più da colleghi non affetti dal morbo. Il primario ci confessò che quello è stato il periodo più terribile per Tonio, che voleva venire a scuola a supplire se stesso. Una fiala al giorno di valium per via rettale di solito era sufficiente a calmare la sua frenesia. A volte, però, i medici sono stati costretti a inc… insuflarlo per ben due volte al dì.
L’altro caso disperato è quello di Water (ci fu un errore anagrafico: i genitori dichiararono all’ufficiale anagrafico Walter, ma il colletto bianco, premonitore, omise la elle) che porta il nome di un imperatore: Vespasiano. Comunque è un uomo famoso: Vespasiano è scritto su tutti i cessi della città.
Ebbene, Vespasiano è affetto da una forma complessa e anomala di supplentite. È esplosa all’inizio dell’anno, anche se i prodromi risalgono a un paio d’anni fa, come si rileva dall’anamnesi verbalizzata da un medico psichiatra in crisi, marito di una collega in crisi perché impossibilitata a gestire una casa di 200 metri quadri, se non con un orario ad personam.
Noi non abbiamo potuto prendere visione della perizia per via della privacy, che mai come in questo caso è appropriata, ma sono stati i fatti successivi a rendere chiara la sua patologia.
È accaduto, infatti, di recente, che siano cresciute nella classe di concorso di merceologia quattro ore da assegnare a un docente precario. Beh, Vespasiano, che sin allora non aveva dato cenni manifesti di malattia, è stato preso da attacchi di pettegolite, una complicanza della supplentite. Come una gestante presa dalle voglie alla conta dell’ultima settimana, ha dato in smanie, straparlando contro la dirigenza, perché il surplus orario fosse affidato a lui e a lui soltanto. Cosa che, chiaramente, non è accaduta.
Ha preso, così, a snocciolare rosari a bassa voce, specie quando c’incontra, e non appena gli voltiamo le spalle ci fa le corna.
La cosa, ovviamente, ci ha arrecato grande disagio.
Come cacchio ha fatto a sapere i fatti nostri? – ci siamo chiesti sorpresi.
Abbiamo pensato, allora, di rivolgerci al presidente della Regione, il dott. Ricchiuti, perché si desse una mossa e vedesse di arginare questi casi di supplentite, ormai a rischio di divenire pandemia.
Il presidente ha risposto alla nostra interrogazione chiedendo a sua volta se tra i monattati vi fosse almeno un omosessuale o, nel peggiore dei casi, qualche docente con due orecchini, altrimenti gli sarebbe stato impossibile intervenire presso il ministro della Salute Pubblica per avviare una ricerca farmacologica.
Disgraziatamente, per i dati ufficiali tra noi non vi sono pederasti dichiarati, c’è solo qualcuno delle nuove leve che si fregia di un orecchino, però sospettiamo che una discreta percentuale sia sulla strada della pederastite.
Ricchiuti ci ha risposto incazzato: No ricchioni, no party!
Il potere della pubblicità!
Ancora una volta è stato dimostrato quanto le strutture pubbliche siano inefficienti per la scarsa attenzione che i politici dedicano ai gravi problemi che attanagliano il Paese.
Ormai siamo in piena pandemia, Il morbo si diffonde rapidamente. La triste previsione, tragicamente confortata dall’indagine demoscopica affidata al dott. Mannheimer di Porta a Porta, è che avrà un breve intervallo durante la Pasqua del Signore, per riprendere, flagellante, sino al 30 di Giugno.
Poi tutti al mare!

martedì 1 dicembre 2009

Cose che capitano

COSE CHE CAPITANO

Beato chi può!
Io non può, evidentemente.
Cavolo, ero lì a lavorare con Porzia e Del Cozo l’Africano, quando entrò in vicepresidenza Fallonio, o come fallo si chiama, il nuovo collega di Fisica, con aria dispiaciuta, anzi imbronciata.
Era infagottato in un cappotto marrone, non so se di capra o di bisonte, la barba appena accennata sul volto e gli occhi bassi, come lui, del resto. Mi pareva Brunetta casual.
– Piccolo, che ti succede? – gli chiese Porzia, tutta materna.
Fallonio la guardò, poi spostò lo sguardo su Del Cozo e me, senza parlare.
Porzia ripeté: – Piccolo, c’è qualcosa che non va, guai in famiglia, la mamma non sta bene, il piccolo del piccolo è ammalato?
Fallonio si prese una pausa di riflessione.
Noi eravamo in ansia per lui.
Ehi, piccolo, parla, sei tra amici.
– Questa è una grande famiglia, – incalzò Del Cozo, – sii franco!
Franco Carbonchio si affacciò nella stanza: se è per una supplenza, oggi non posso; devo fare l’evacuazione.
– Evacua pure, – intervenni, – come ha detto Saverio, questa è una grande famiglia, patriarcale, anzi; un po’ d’olio di ricino non si nega a nessuno.
Franco, da quando si è rifatto gli occhi, è diventato birichino. Dice che vede tutto sotto altra luce e che non è disposto a fare il tappabuchi, ora che i buchi degli occhi glieli hanno allargati.
Mi guardò in tralice e poi, con quell’affetto che traspare dal suo volto ogni volta che teme che qualcuno lo voglia gabbare, mi mandò affanculo: sempre voglia di scherzare, mi disse poi, passandosi una mano sulla pelata nel vano tentativo di mandare indietro capelli che non ha mai avuto.
Porzia lo rassicurò: – Non devi tappare nulla, parlavamo con Fallonio.
– Come si chiama?
Fallonio venne fuori dalla trance e borbottò qualcosa come «Eduardo Fallonio» o, almeno, così volemmo sentire.
Poi ingrugnì: – Non ti piace?
– Per carità, – sbottò Franco, – abbiamo i colleghi Budellazzi, Cazzolla e Pompilio… cosa vuoi che ci faccia un Fallonio in più!
Il collega di Fisica ricadde in trance.
– Piccolo, Franco scherza. Come ti ho detto, questa è una famiglia.
Un rosato non si nega a nessuno.
In effetti, Concetta era sulla soglia, non che aspettasse che le si desse il permesso di entrare, ma per questioni di spazio. La vicepresidenza, infatti, è un bugigattolo piccolo, stretto e con intonaco gonfiato per le infiltrazioni che provengono dal bagno di servizio attiguo, ma climatizzato. Come dicevo, la Rosato confortò il nuovo acquisto assicurandogli che Franco è come Gorbaciov, sembra cattivo, ma è un pezzo di pane, un po’ rancido, ma sempre pane è.
Eduardo si riscosse per la seconda volta e ci disse che voleva un po’ di privacy.
La privacy non si nega manco al peggior nemico, perciò pregammo Franco e Concetta di lasciare che il nuovo assunto si confessasse con la sola triade, cioè Porzia, Saverio e io.
Non appena soli, Eduardo aprì il suo caier de lagnance.
Ci disse, il fisico, che la sua situazione era drammatica, unica e non assimilabile ad alcun’altra.
Lo esortammo e preparammo i nostri scottex.
Il poverino ci confessò di abitare in una grande villa nella foresta in cui svettava un solo albero, un banano. L’ unico mezzo di trasporto, sino alla prima carrabile, erano le liane. Per tanto, sin quando smetteva l’habitus tarzaniano, metteva a cuccia Cita, rimpinzava di banane il gorilla guardiano, rassicurava la moglie e distribuiva lecca lecca ai bambini, si facevano le 21 serotine. Ciò rendeva impossibile la sua presenza ai collegi e ai consigli di classe che inopinatamente il preside, senza chiedere un suo autorevole parere, destinava dalle 17.00 in poi. Quindi, data l’illogicità delle decisioni dirigenziali, egli, l’Eduardo, si sentiva in dovere di sottolineare il comportamento irresponsabile del capo d’Istituto, ne chiedeva l’immediata destituzione e si dichiarava disponibile a sostituirlo.
Brunetta Secondo terminò il pistolotto tra le nostre lacrime che gocciolavano dagli scottex ormai inservibili.
Mi asciugai le lacrime e pensai che anche io possedevo una foresta con un albero quasi in fin di vita, ma la villa , quella, cazzo, no!
Guardai Saverio e capii che eravamo sulla stessa scia di pensiero. Lui, infatti, se è pur vero che la villa ce l’ha, ha però perso da tempo foresta e albero!
Ci consultammo con Porzia.
La nostra è una triade di pensiero e di azione, come Mazzone, cioè Mazzini, e decidemmo: l’ammutinamento sarebbe stato più feroce di quello del Baunty.
Congedammo il gerarca al grido di Eia, Eia mio capitano!
Fallonio ha ricevuto una riservata personale con tanto di timbro della Repubblica Italiana.