lunedì 21 giugno 2010

UN GIORNO IN ISTITUTO

UN GIORNO IN ISTITUTO
Panthalassa mi abborda: Nat, vieni a firmare, c’è un Consiglio straordinario.
Sobbalzo: ancora e che diamine!
Consolati, c’è anche per il corso M.
E sì, mal comune mezzo gaudio.
Arraffo il foglio che mi porge la nostra collaboratrice e leggo:
andamento didattico-disciplinare;
valutazione per il pagellino di metà quadrimestre;
visite d’istruzione;
varie ed eventuali.
Ore 16.30 VC; 17.30 IVC; 18.30 IIIC.
M’infervoro: ma che c’è di straordinario?
Forse è straordinario che lo facciate.
Taccio e dolorosamente rifletto.
Mi rassegno e varco la porta dell’Inferno.
Dopo una giornata di merda come quella che mi aspetta è la ciliegina sulla torta.
Manco il tempo di una pennichella e di nuovo scuola. Roba da matti!
Al mattino alle 08.20, proprio quando io, dopo aver sorbito il caffè con gli amici, mi accingo a fumare la mia Ligt, arriva il preside. Mi guarda con espressione di rimprovero e mi ricorda che il fumo fa male. Io mi tocco e lo seguo al bar.
La mia consumazione l’ho già fatta, quindi lo osservo mentre beve la sua bibita che Maria, la nostra barista, gli serve immediatamente ignorando la clientela in attesa da una decina di minuti. Poi svicolo: lo lascio a discutere con Livia e Severo e m’imbosco nel cortile d’accesso al corso Programmatori. Con Lisa e Angela mi ossigeno di buon tabacco taroccato dalla nostra manifattura, pieno di sterpetti e catrame di ottima qualità e poi recupero la borsa che ho lasciato in segreteria.
Non ci siamo salutati?- mi chiede il dirigente.
Io gli rispondo di sì, ricordando la grattatina di prammatica, ma gli do nuovamente la mano, in segno di pace.
Gli dico ci vediamo dopo e affronto le scale con una smorfia di dolore per la lombo-sciatalgia che mi affligge da un mese e più.
La borsa è pesante, contiene tutti i compiti, dal primo del primo quadrimestre all’ultimo che ho ritirato ieri e il registro intonso, senza manco i nomi degli studenti. Ho tutto lì perché non mi fido a conservarli nel mio loculo in dotazione, visto che non ne ho corretto manco uno e che metto i voti a cazzo durante gli scrutini. Ma questo non è un problema. A fine d’anno risulteranno tutti corretti, con tanto di giudizio e voto.
Le scale sono un calvario. Mi domando per che cazzo non ho preso l’ascensore. Poi ricordo: mi aspetta la IV C, una classe di merda.
Perdo tempo, rallento il passo. Sul pianerottolo mi fermo a parlare con Clelia, la bidella del corridoio di destra. Soliti convenevoli. Clelia è una brava donna, ma soprattutto una brava cuoca. Mi consiglia un piatto semplice, ma gustoso: costolette d’agnello alla brace con pepe e sale e contorno di funghi cardoncelli al forno. Mi viene l’acquolina in bocca, poi penso a mia moglie che non mangia l’agnello che le procura coliche epatiche, renali, gastrite e colite acuta. Roba da pronto soccorso. Saluto la mia consigliera e giro a sinistra. Nel corridoio di sinistra c’è Marisa. E’ una donna di una simpatia unica. Alta, robusta, di mezza età. Ha un difetto alla vista: non ti vede se non sei a due cm da lei. Mi saluta con entusiasmo quando le sono proprio addosso e comincia a raccontarmi episodi di vita quotidiana col padre e la cagnetta che continua a far pipì in casa anche ora che ha undici anni. Le spiego che forse ha un problema ai reni per l’età avanzata.
E mio padre?- mi chiede.
Perché, anche lui?
Sì, ha ottanta anni.
Beh, allora è certamente un problema di reni.
No, mia madre mi diceva che lo faceva tutte le volte che lo rimproverava per essere andato in cantina con gli amici.
Allora è un timido- le dico dando una sguardo alla porta della penultima aula, quella della IV C.
La porta è chiusa, mentre dovrebbe essere aperta in attesa del docente.
Mi preoccupo.
Saluto Maria e mi avvicino con passo felpato. Poggio l’orecchio sullo stipite: silenzio assoluto.
Busso, per dare a intendere che si tratti della vicepreside.
Nessuna risposta.
Con violenza spalanco la porta: non c’è anima viva.
Per poco non mi scoppia il cuore per la gioia.
Torno indietro e chiedo a Marisa.
Lei si dà una pacca sulla fronte: professò, mi ero dimenticata di dirti che sono alla Ragioneria di Stato col prof. Mazzone. Lo metto a fuoco, sì è quello che io chiamo Incazzone. perché entra in classe già incazzato. Ci giuro, anche al Catasto sarà incazzato. La colpa è della moglie che lo manda in bianco a ripetizione.
Il cuore mi batte a cento all’ora: non è possibile che non essendoci la mia classe io non vada a supplire in qualche altra.
Mi faccio dare da Marisa la fotocopia del foglio delle supplenze.
Impallidisco. Cazzo, nella II F, in quel cesso di classe!
Torno lentamente nel corridoio di destra. Clelia mi viene incontro. Anche lei aveva dimenticato di avvertirmi della sostituzione.
Il chiasso è irraccontabile. C’è Farfuglia, che io chiamo Fanculla, un ragazzone di diciotto anni, plurirespinto, faccia di culo, che sodomizza quasi Antoracci, per me Antocazzi, per avere un pezzo della sua focaccia, cotta con olio rigenerato della Shell, venduta a caro prezzo da Leonzio, il gestore del bar dell’istituto, che io chiamo il Gobbo di Notre Dame.
Li separo, batto con tutta la forza il palmo della mano sulla cattedra, cosa che fa quasi venire un infarto a Cotronelli, Cotoletta, con quell’odore di fritto di uova marce e carne in decomposizione che si porta appresso.
E’ una bomba- si affaccia il prof Gassi che io chiamo Nervino. Poi vede che ci sono io e capisce.
Urlo da pazzi e risistemo gli alunni ai loro posti distribuendo calci e pugni a quelli che si attardano.
Finalmente un po’ di pace!
Faccio l’appello: mancano i migliori, quelli che dormono e non scassano gli zebedei.
Liberatorio, il suono della campanella avvisa che la prima ora è trascorsa.
Vago per i corridoi.
Cazzo, io ho fatto l’orario e non mi ricordo dove devo andare. Sarà la III C.
Ragù, Pelati, cioè, alunno della III, mi viene incontro dicendomi che va in bagno.
Che me ne frega-gli rispondo.
Siccome sta da noi, volevo avvisarla.
Fingo di essere consapevole.
Ma ti ho dato il permesso?
No.
Allora torna in classe e chiedimelo.
Ma…
Torna in classe se non vuoi che trasformi il tuo cranio in un teorema di Pitagora!
Torna in classe e sbuffa.
Mi fermo sulla soglia.
Gli alunni parlottano tra loro, scherzano, si scambiano pacche seminoffensive e mi ignorano.
Resto sulla soglia.
Dinnella mi vede.
Ehi, il professore!
Silenzio.
Beh, che fate lì, sollevatelo!
Intendo sollevare il sedere dalla sedia per alzarsi.
Recalcitrano, ma si alzano.
Muovo i miei passi verso la cattedra.
Ragù mi chiede se può uscire.
Ti ho detto che puoi parlare? Resta in piedi.
Mi scappa.
Fattela addosso, tanto gli odori dell’aula non sono diversi dalla tua prossima elargizione. Aprite la finestra, che non si respira! Ma vi fate la doccia la mattina?
Seee , la doccia…
Dinobruttis (Dinobellis per l’anagrafe), testa di quiz, era una domanda retorica!
Ragù mi fa il ballo della pioggia caro agli Arapahos, i pellerossa con i Pampers.
Lo mando in bagno prima che innaffi il lombrico che staziona vicino al suo piede destro.
Lo schiaccia e il puzzo copre quello della sporcizia.
Marisa bussa alla porta: prof il preside ti vuole giù.
Vengo subito- felicito.
Questa volta prendo l’ascensore.
Il pulsante è rosso. Aspetto.
Finalmente la macchina si ferma al piano.
Le porte si aprono: è Stan senza Ollio.
Cacchio fai qui, questo è il piano dei ragionieri.
Lo so, mi ha mandato il preside a tenere la tua classe.
Perché è lungo il fatto?
E che ne so, mi ha detto vai.
Lo saluto e entro nell’ascensore.
Mi fermo a piano terra.
L’odore dei cornetti mi assale, ma so bene che l’olfatto inganna il palato.
Desisto.
Mi trascino verso la presidenza; sulla soglia accentuo la mia sofferenza.
Il preside mi invita a entrare.
Una smorfia di dolore deturpa il mio viso michelangiolesco.
Zoppichi?
Sono sciantalgico.
Sciantalcchè?
Sciantalgico, ho una lombo sciatalgia.
Mi fa Verorchia(Veronesi e Sirchia sintetizzati): quello è il fumo.
Imito Totò: ma mi faccia il piacereee.
Severo, che è all’angolo sinistro della scrivania presidenziale, si lamenta: e io mi sorbisco il fumo passivo.
Tu di passivo hai solo che sei passivo.
Dirò a Livia di sospendervi: sorride il dirigente
Magari!- all’unisono il gatto e la volpe.
Vi ho chiamato per Filingrato.
E chi è?
Un privatista.
E a noi?
Verrà a sostenere gli esami di idoneità al V.
E beh?
Non sa un cacchio.
Normale. E allora?
Dev’essere promosso.
Normale.
Facciamo per andare, ma il deus ex machina ci ferma.
Dove andate?
In classe, preside!
Uhh, siete ligi al dovere!
Lex, dura lex, sed lex.
Severo non traduce, ma capisce.
E mo che c’entra?
Il primus ci dice di accomodarci alle poltrone.
E’ una presa per il culo, quelle la comodità non sanno manco che esiste.
Mi lamento per la lombo; Severo mi fa eco.
Che cacchio sfotti?
No, non ti sfotto, anche io stamattina mi sono alzato col dolore sciantalgico.
A te è per l’attività da amanuense! Non lo capisci che alla tua età devi stare calmo?
Il preside assiste con il mento poggiato sul palmo della mano, poi si scoccia: Ragazzi(bontà sua), non è solo questo, sto pensando all’anno prossimo!
Anche noi…-sospiriamo.
E qui il primus ci dice che l’istituto non sarà più lo stesso, che il caffè della mattina avrà un altro sapore etc etc.
Noi ci scherniamo, facciamo i modesti e siamo quasi sul punto di commuoverci quando capiamo che lui si riferisce al nuovo plesso, ormai pronto, in cui probabilmente sarà costretto a trasferire presidenza, vicepresidenza e bar; al gran casino di spostamenti di classi, alunni e docenti per la riforma della ministroneosposaneomamma Gelmini, della quale conosciamo anche l’ora, il minuto e il secondo in cui, dopo la corsa fratricida degli spermatozoi, ha concepito il figlio,
Ci ricomponiamo, gli diciamo che gli saremo mediaticamente vicini e togliamo il disturbo sorreggendoci vicendevolmente.
Malinconicamente riprendo l’ascensore.
Stan ha i capelli ritti. Non appena metto piede nell’aula, fugge.
Sono tutti tuoi!- mi urla scendendo di corsa le scale.
In classe ci sono tutti. Due, estasiati, all’ultimo banco, col capo poggiato al muro, hanno le orecchie tappate dalle minicuffie e ascoltano, rapiti, canzoni napoletane clonate abusivamente; un gruppetto di cinque gioca a prendersi e muove banchi e sedie con gran casino; due, giovani innamorati, in un angolo si coccolano e si accarezzano pseudo pudicamente,; la vamp della classe con specchietti e trucchi si pasticcia il viso da battona; mentre i tre quasi sull’altra sponda s’ingelano i capelli precedentemente impiastricciati con la storica brillantina Linetti avuta in eredità dai nonni.
I più normali sono i quattro masochisti che si gonfiano le mani a suon di schiaffi sulle palme che sembrano i panzerotti smerciati da Leonzio.
Caccio un urlo: niente; batto formidabilmente sulla cattedra: scende il silenzio, ma sale il preside, spaventato dalla deflagrazione. Anche Nervino si affaccia, mi guarda e dice: te l’avevo detto io.
Cosa cacchio mi avesse detto non lo capisco, ma assumo un’aria mortificata per il pallore di Delia, l’ausiliaria del mio corridoio, accasciata sulla sedia.
Se vuoi battere- mi dice il preside- sai dove andare.
Recepisco.
Prendo il mio duce sottobraccio e con familiarità lo invito a prendere un caffè, con la scusa di mandarne uno su anche per Delia. Ma non è che un modo per allontanarmi dai miei scalmanati.
Scendiamo per le scale e riscoppia il casino. Fingiamo di non accorgercene.
La campanella, ancora una volta, mi toglie le catene.
Nel bar c’è una ressa indicibile:tutti vogliono tutto.
Maria corre da una parte all’altra del bancone, prende soldi, batte cassa, scontrini scambiati, ma non importa.
Sembra che i nostri alunni siano a digiuno da qualche settimana. Si rimpinzano, bevono, qualcuno erutta da su e da giù.
Ci facciamo largo e occupiamo due postazioni privilegiate: caffè maculato e espressivo- dico con voce stentorea per vincere il chiasso.
Caffè che?- chiede Maria.
Maculato- rispondo- con gocce di latte, per capirci.
Maria sorride: è abituata al mio sfoggio linguistico, però non memorizza.
Il primus sorbisce l’espressino con aria disgustata: gradisce di più un bel ristretto.
Ma perché non l’ha detto?
La voce di Panthalassa risuona dall’atrio: Nat, c’è la classe scoperta!
Finisco il maculato che mi va quasi di traverso.
Panthalassa è nel bar: Livia si sta arrabbiando- mi dice- la IV C è scoperta!
Ma non è mia- replico.
Sì, ma c’hai supplenza.
E io che ne so.
Beh, ora lo sai.
Il preside lascia a metà l’espressino.
Io insisto: Maria, caffè, un caffè ristretto.
Maria opera.
Panthalassa mi è alle costole: vai- mi suggerisce.
Dì a Livia che sono col preside.
Il preside mi ringrazia del caffè, ma rinuncia, ormai ha la bocca impastata di espressino.
Lo saluto e mi avvio per le scale. Cacchio ho di nuovo dimenticato la mia sciatica.
La gamba mi duole: eroicamente resisto e vado in IV C.
Livia mi aspetta sulla soglia: sai che questa classe non si può lasciare- mi dice spazientita.
Ma non è mia- replico- e poi non sapevo di avere supplenza. In quest’ora ho ricevimento.
Come, hai ricevimento?
Sì- laconico.
Clarinetti, chiamatemi Clarinetti! Quando lo vuoi non c’è, e lo sa che non si deve allontanare.
Raffaele arriva trafelato: che c’è professoressa?
Come che c’è, Cattaneo non ha supplenza!
E che vuole da me?
Come che voglio… tu mi hai detto di mettere Cattaneo.
No, io ho detto Laterizzi.
E perché è venuto Cattaneo?
Intervengo: perché tu mi hai fatto chiamare.
Leggi- mi dice- come sta scritto sulla fotocopia delle supplenze, io non ho gli occhiali.
Leggo: Laterizzi.
Ah! Clarinetti chiama Laterizzi e fammi venire Panthalassa.
L’ascensore si ferma al piano: esce Panthalassa.
Perché hai chiamato Cattaneo?
Perché ha supplenza!
No, ce l’ha Laterizzi.
No, io ho Cattaneo.
Panthalassa, non dire sciocchezze, io ho la fotocopia del registro delle supplenze e qui c’è scritto Laterizzi.
Panthalassa legge: ma chi l’ha scritto, qui si legge Cattaneo!
Raffaele, dammi gli occhiali.
Clarinetti li cava dal taschino.
Ma che occhiali mi dai, i tuoi Io voglio i miei!
Professoressa, è lo stesso, anche io sono presbite.
Ma che presbite, io sono ipermetrope.
Sì, va beh.
Livia legge: sì, non si legge bene, ma è Laterizzi.
Mi guarda a scusarsi.
Clarinetti, Laterizzi dov’è?
E quello se n’è andato…
E mo? dai Nat, fammi il piacere, fattela tu, tanto il ricevimento è finito.
Per fortuna è passata mezz’ora. Altri venti minuti.
Va bene- magnanimo-resto io.
Come Livia va via, la IV C si risveglia: in cinque vogliono andare in bagno, in quattro al bar, in undici in laboratorio.
Sprofondo sulla poltroncina del prof: Ragazzi, non scassate, tutti a posto.
Si alza la protesta: quella non ci ha fatto uscire, non abbiamo fatto colazione, dobbiamo stampare i progetti…
Li interrompo. Basta, cacchio, stavate aspettando me per riempire le caier des lagnances?
Ammutoliscono, quasi li avessi minacciati di morte.
Uno spilungone prende coraggio: e cos’è, professore?
Hanno ragione; ormai il francese non si studia più, siamo diventati tutti anglofoni!
Spiego: le lamentele, i desideri repressi, ciò che vi fa sbavare, l’impossibile, l’irragiungibile…
Cazzate- sorride ‘ndramalonga.
La classe riprende coraggio: la cattedra è assediata, io sono assediato.
Mi alzo, distribuisco pacche e guadagno la soglia. Apro la porta e respiro.
Una ventata: sono tutti fuori e se ne vanno per i cacchi loro.
Li richiamo, ma ormai non ho più voce. Me ne frego.
Compare Livia: Tu li hai mandati fuori?
Mi assumo le mie responsabilità. Sì!
E così che la Scuola va a scatafascio. Non lo fare più.
Livia mi vuole un bene fraterno che io ricambio sinceramente. E’ una donna eccezionale: è l’unica che riesce a far entrare in un’aula cento e più alunni che poi pare stiano anche larghi. Non so, penso che si riducano, rimpiccioliscano, clonazione dei nani di Condom Rosso.
Passeggio con lei mentre i ragazzi si riprecipitano in classe.
La campanella.
Andiamo giù.
Devo fumare- le dico.
Ti accompagno.
Fuori è tutt’un’altra cosa. L’aria è frizzante, si sta bene. Le maccchine passano davanti il nostro Istituto sfrecciando verso la circonvallazione. Io penso alla passeggiata a Torre a Mare, al gelato al caffè, al pensionamento che fra poco lo Stato mi concederà e sto male.
Come cacchio farò senza tutto questo casino, come sopravvivrò?
Livia condivide i miei pensieri; fuma con me senza fumare e tossisce.
Ci raggiunge Maria Teresa Manetta.
L’odore della sigaretta la inebria: è la duecentesima volta che ha smesso di fumare.
Quasi si scusa: è il medico che mi dice di smettere. La pressione mi sale alle stelle, il cuore batte all’impazzata, la nicotina mi fa male. Ma il cuore le batte anche ora, quasi ne avverto il battito scandito, per il desiderio di tirare due boccate. Alla fine si decide.
Mi dai una sigaretta?
Io nicchio. Non vorrei passare per il persuasore occulto, lo spacciatore di tabacco, il bos del traffico di bionde, ma mi compenetro e offro la prima mela, pardon, l’ennesima sigaretta.
Maria Teresa aspira voluttuosamente sotto lo sguardo di rimprovero di Livia. Poi si pente e getta via la mia non ti Merit più.
Brava!- le dice Livia.
Maria Teresa si asciuga le lacrime e resta a guardare le volute di fumo che emetto dal naso e dalla bocca. Poi rientra nell’atrio.
Ti vogliono al secondo piano- dice Panthalassa a Livia.
La vice fa un gesto di sconforto: ti lascio in buona compagnia.
Sì, è vero, siamo stati raggiunti da Lisa e Angela.
Delia e Angela insegnano rispettivamente Matematica e Scienze Finanziarie, che io dico InRosso, discipline per me da altro pianeta, visti i meno due che prendevo dai miei insegnanti quando ero studente.
Poco dopo l’aria davanti l’Istituto diviene irrespirabile per Magda Gallomaresca che attua una campagna serrata contro il fumo, coinvolgendo la maggior parte dei nostri alunni.
Ora anche i non fumatori sono fumatori.
Magda è sconsolate e accusa me e le mie socie di aver traviato col nostro esempio i suoi giovani corsisti.
Noi ce ne freghiamo perché crediamo fortemente nel libero arbitrio.
La vetrata sbatte. È Nicola Mazzone, docente di Ragioneria. Non so perché ma ogni volta debbo contare sino a dieci prima di pronunciare il suo cognome.
Per non parlare poi di Pomponio. Qui conto sino a venti.
Nicola è tornato dalla Ragioneria di Stato. Si avvicina furtivo, pensando di non essere visto, e mi abborda. Come gesto di affetto, mi uncina una guancia che stritola nella mano a pagnottella: Chi sarà il prossimo vicepreside?-mi chiede con aria interessata. Io, come Scalfaro, non ci sto e restituisco il gesto affettuoso.
Nicola si sconcerta, poi si ricompone e richiede: Chi sarà il prossimo vicepreside?
Tutti sappiamo che vorrebbe essere lui il prescelto, ma sappiamo anche che il preside manco per il …per idea lo eleverebbe al rango di feudatario, però non glielo diciamo.
Io nicchio, anche se penso che sarà la Santagata a raccogliere l’eredità di Livia.
Siccome sono sadico gli dico che il caput sta seriamente prendendo in considerazione la sua candidatura, così che lo prenderà nel boffice quando si vedrà scalzato.
Non solo, penso anche che la stessa Santagata poi si prenderà le sue vendette, perché anche lei è spesso oggetto degli uncinamenti del computaio.
Nicola sfodera un sorriso a tre chiostre. Fa il modesto, dice che non è possibile, ma che non appena avrà l’incarico cambierà molte cose nell’Istituto.
Beato lui, crede ancora nella teoria dei due soli!
Delia e Angela, per fortuna, non parlano di teoremi, equazioni, funzioni di primo e secondo grado, né di primogenitura ma, più umanamente, discutono di primi e secondi piatti. Anche io posso dire la mia. E giù l’encomio solenne alle ostriche, alle noci bianche, ai datteri di mare cercati da chi l’ha visto, alla spaghettata con vongole e gamberetti, al ragù del macellaio, all’impepata di cozze, ai ricci profumati da mangiare, a seconda dei gusti, col cucchiaino o con il pane appena sfornato.
L’acquolina sta per scivolare dalle labbra quando suona ancora una volta la campanella.
Mazzonevorrebbe salutarmi con un altro pizzicotto, quando individua Milena Santagata che viene a ossigenarsi. Le piomba addosso come un falco e le strappa mezza guancia. E’ pazzo!
Milena lo manda a quel paese sorridendo, ma penso che in cuor suo gli stia facendo una fattura.
Vado in classe. Due ore in V C.
Cazzo faccio-penso- per due ore? Ho terminato il programma, l’ho dettato, ho verificato e corretto i percorsi, ho… mi batto un palmo sulla fronte: e le interrogazioni, i voti di fine quadrimestre, le assenze?.
Beh, scriverò il registro, almeno non starò con le mani in mano.
Entro in classe. La scena si ripete: nessuno che si alzi.
Sono tutti impegnati con i computer portatili.
Almeno stanno studiando- penso io.
Mi dispiace quasi interromperli.
Passo tra i banchi: scene di puro erotismo: Paperino e Paperina che pomiciano tra lo stupore dei nipotini, l’uomo ragno che fa il ragno con la sua bella, Berlusconi che s’intrattiene con le escort seminude, Marrazzo a letto con due trans. I più ingenui giocano mediaticamente a calcetto o si esercitano virtualmente in sport estremi tuffandosi da duecento metri in una piscina che sembra il bicchiere di plastica dell’espressino freddo. Ciò che li accomuna è un ooooh di soddisfazione allorché ciascuno degli eroi digitali porta a termine il proprio compito.
M’incazzo come un toro davanti alla rossa muleta.
Alzatevi- urlo- quando entra il docente!
Si spaventano: presi dai loro giochi non si erano neppure accorti che ero in classe.
Si alzano e restano a fronte bassa non per la vergogna ma per seguire le scene che mandano i cervelli elettronici. In pratica se ne fottono.
Io faccio il solito pistolotto e ricordo loro che sono prossimi agli esami, che la scuola non è un asilo nido, che non si viene a scuola solo per mangiare le porcherie che propone il bar dell’istituto, che i loro genitori si sacrificano per consentire che non sfigurino di fronte agli altri alunni, che ecc ecc.
Sentono ma non ascoltano, hanno sempre gli occhi bassi, poi all’unisono esplodono in un ooooh che mi manda in bestia.
Per non compromettermi esco dall’aula e passeggio per il corridoio.
Più di cento alunni mi vengono incontro affinché firmi i permessi d’uscita. I genitori sono tutti nell’atrio ad attenderli.
Fuori il traffico è fermo per le Maserati, le Ferrari, i Suv e le Jeep di ultima generazione con a bordo mamme, nonni, bambini, zii e zie pronte ad accogliere gli studenti per la gita fuori porta che hanno programmato per il ponte del 2 Giugno.
Mi passo le mani tra i capelli, mi sistemo la vita dei pantaloni che tendono a scendere per le decine di volte che ho scalato i piani dell’istituto, mi accendo una sigaretta e compongo il numero di casa al telefonino: Non aspettarmi-dico a mia moglie-vado in vacanza e fanculo la scuola!
Respiro l’aria pura brezzata dal mare e mi avvio seguito dalla schiera di genitori. Mi sento tanto il pifferaio magico. Il preside s’affaccia e mi dice: dove vai, firma i permessi!
Io mostro il medio e l’indice tra cui stringo la mia ligt.
Fumerai dopo, non sai che il fumo uccide?
Mi ritocco e lento pede torno nell’atrio.
I registri di classe formano una pila di alcuni metri sulla mensola della portineria. La voce di Panthalassa sembra giungere dall’oltre tomba: c’è anche un permesso d’ingresso1
Che, a quest’ora, e che è venuto a fare?
E’ stato accompagnato dalla madre, dice che ha perso il pulman.
Uno solo?- dico io, ma non replico più, sono rassegnato.
Consumo due biro a firmare permessi vari, mentre suona la penultima campanella.
Finalmente mi rilasso., seduto alla poltroncina dell’aula della mia Quinta.
I ragazzi hanno il viso e le orecchie rosse per l’impegno nei giochi, sono stanchi e si rilassano anche loro. Tra poco cominceranno i consigli di classe e so già cosa dire:.facciano cazzo vogliono, io me ne sbatto le palle!
Mia moglie ha preparato piselli con poca cipolla: non sanno di niente. Ingollo quattro cucchiaiate e poi mi do alla frutta. Le fragole sono verdi e i Kiwi quasi rossi per lo stadio di maturazione.
Accendo la TV che mi fa vedere ancora Berlusconi e lo immagino palpeggiare le escort mentre parla dei sacrifici che solo il Pubblico Impiego deve fare, che parlamentari e ministri sono tanto indigenti da aver bisogno che altri paghino per loro case e droghe e che solo per orgoglio non chiedono il nome del benefattore.
Un conato di vomito mi “arrivugghia” lo stomaco.
Per fortuna il lettore passa alle notizie di cronaca ed è quasi con sollievo che ascolto di uno che ha ammazzato padre, madre e fratelli, li ha ridotti a spezzatino, li ha infornati ma non li ha mangiati perché è vegetariano.
Finalmente- ho pensato- una persona coerente.
Le lancette dell’orologio scorrono veloci e il pendolo che ho in testa mi avvisa che l’ora è vicina.
Cacchio, sono le sedici e quindici.
Mi sciacquo mani e faccia, spazzolo ciò che resta dei miei denti e l’opera dell’odontotecnico, mi ravvio i capelli e dico ciao a mia moglie che dorme rannicchiata sul letto che misura quattro per quattro.
Non mi risponde e io non insisto; so, però che poi mi chiederà perché no l’ho avvisata che andavo via.
La Stilo, la mia fedele autovettura, quella che mi ha salvato la vita col cicaleccio di pericolo quando sei senza cintura, lei che mi rompe le palle sin quando non m’incateno al sedile di guida, mi attende fiduciosa giù per strada.
Di tanto in tanto rumoreggia col clacson per l’antifurto molto sensibile all’umidità e ai gatti, ma per il resto è una brava compagna. Che mai si sia lamentata per le tonnellate di cenere che quotidianamente spargo sul suo pianale, vicino la cloche, sul portaoggetti, ma mai nel posacenere. E’ un fatto di principio.
Faccio per mettere in moto e mi squilla il cellulare: è Severo che mi chiede di portarlo a passeggio sino a scuola. Il suo nome deriva da Severus. Cultori di semantica Mao-Mao asseriscono che potrebbe anche derivare da Serius, ma io non ci credo, non sarebbe adatto al mio amico.
Ingrano la prima poi la seconda la terza, salto la quarta e in quinta sono a casa sua. Il pedologo mi attende per strada e si lamenta perché dice che ha atteso troppo a lungo. E’ un rito. Del resto ha la sua veneranda età, anche se è più piccolo o meno grande di me di due anni.
Pelato, o quasi, con una cornice di capelli che gli copre la nuca e quattro peli sul cranio che lascia crescere perché diano una parvenza di ciuffo anni ‘60, medio corto come me, rotondetto non come me, camicia a mezze maniche, maglia della salute, pantaloni grigi e scarpe marroni, un bozzo sulla testa che pare la torre Eiffel, il sorriso bonario stampato sul viso ellissoide e rubicondo, occhi grigio-verdi(ha fatto il militare nell’Esercito), Severo è l’amico con cui gioco al nonnetto fingendo di scarrozzarlo per la città a visitare il borgo antico e le meraviglie del quartiere Japigia. S’infila in macchina, mi guarda fintamente severo e poi sbottiamo a ridere come due rincoglioniti. Polifemo, ovvero Biagio Iannone, ci attende sul ”sagrato” e ci accoglie con la solita domanda: a quest’ora si viene?
Sorvoliamo su quella che potrebbe essere un’oscenità, gli rispondiamo che la moglie lo ha cacciato di casa, motivo per cui lui è già a scuola, e arrembiamo il distributore automatico di tisane. Severo e Biagio prendono un caffè macchiato costellato di tanti puntini neri che sono certamente formiche arrosto e io un cioccolato forte per accumulare l’energia necessaria alla sopravvivenza. Non facciamo cin cin e ci dividiamo: Biagio nella B, noi due nella D.
Ed ecco il Consiglio di classe della D. Ci sono tutti, a cominciare dalla docente di Inglese. Marcella Fisto.ha il fisico inglese, ma non la flemma; infatti s’infiamma. Il volto le diviene spesso rosso per la concitazione e i capelli, se potessero, virerebbero al bordò. Ha sostituito la collega precedente che, per “impegni vari” non era mai in classe e quindi non insegnava un quiz di niente. Però promuoveva tutti. La Fisto, poverina, ha dovuto cominciare tutto daccapo, per questo non appena varca la soglia delle classi, gli alunni inscenano la morte di Cesare e il suicidio di Marcantonio, l’unica opera di Shakespeare che conoscono solo per aver visto il film “Le voglie di Cleopatra”. Hai voglia a spiegare che devono saper parlare e scrivere in inglese; quelli non ne vogliono sapere, anzi, dicono, l’inglese non è mai materia d’esame. La Sisto insiste, s’incazza, minaccia; i ragazzi se ne fottono e desistono.
In fondo, vicino la finestra, s’è seduta Delia Retillo, docente di Geografia Economica. E’ piccolina di statura, bruna di occhi e capelli; veste anche di bruno, ma quasi mai nero. Gli alunni la amano tanto da desiderare che stia sempre in vacanza. Lei, invece no, non si assenta, solo alcuni ritardi tra lo sconforto dei suoi fan che sperano in qualcosa di meglio. Vociante, alla cattedra, c’è Nicola Mazzone, prof. Di ragioneria. A seconda di chi lo chiama, cambia il prenome in Incazzone o Cazk il polacco. Dei polacchi ha il colore, degli irlandesi il calore, degli eshimesi l’apparato genitale. Sarà per questo, dicono le male lingue, che non riceve consensi in famiglia. Dino Fagotto è docente di Matematica Finanziaria. E’ Brunetta in piccolo, soprattutto in larghezza. Di temperamento focoso, vivrebbe mille avventure se non fosse guardato a vista dalla moglie. E’ piccolo anche nei voti. Angela Fienchi insegna Scienze delle Finanze, oggi InRosso perché tra i vari tagli previsti dalla P.I., dove I sta per Ignoranza, Indolenza, Indifferenza, il Ministero parrebbe intenzionato a associarla a quella di ragioneria, con sommo gaudio di Cazk che vedrebbe sempre più consolidata la sua permanenza nel nostro Istituto. Severo Del Fiole, docente di Economia Politica, meglio conosciuto come Del Ciole, è il Pantagruel della situazione. Sempre disponibile allo bisboccia, ai pranzi luculliani; ma di lui ho già detto. I prof di Diritto sono due: uno, la Mannella, che opera nella Terza e nella Quarta, l’atro, Guido Tucani, docente della Quinta. Mannella è una spilungona affabile, simpatica come tutti i fumatori, disponibile a un lavoro leggero, non impegnativo e a saltare qualche ora se l’orario, spesso criptico, le consente di svicolare. Guido, invece, è di tutt’altra pasta. Prima di convolare a giuste nozze era sorridente, disponibile, propenso alla chiacchiera, ma, da quando è solo la metà di una mela, è divenuto uccel di bosco. Non appena può ci dà sega, impegnandoci in un surplus di supplenze che tolleriamo solo perché è novello sposo. Non è dimagrito, anzi, ha messo su un po’ di pancetta, segno della piena soddisfazione dei sensi. Franco Giammainetti, docente di Lingua Ftrancese sonnecchia con il capo spalmato sulla vetrata della finestra. Non sai mai cosa vuole. Ti dice un sì che è un no e un no che resta sempre no. Etimologicamente è sfortunato. Giammainetti, letteralmente, significa Sempresporchi. Grazie alla Gelmini, anche la Santagata ha due ore nel triennio della D. Insegna Storia in Terza. Struralmente Nonica, ma non Giu, difetta, infatti, in altezza, ha ottime chance di diventare collaboratrice, se non vicaria del preside: se accadrà Incazzone si suiciderà. Si è aggiunta al clan dei fumatori, anche se in modo isolato. Ci ha incuriosito con la richiesta della mail di tutto l’organico dei geometri. Penso che preconizzi il suo futuro. La prof di Educazione Fisica, Katia Piccoli, si appoggia allo stipite. Pare debba sostenere l’intera struttura. L’aula le sta stretta, abituata com’è ai grandi spazi, alle palestre luminose, ai prati verdi. Tentenna e ci guarda come fossimo i suoi alunni peggiori, impigriti dal lavoro sedentario, pancettati, stravaccati sulle seggiole. Un soffio di vento, in questa giornata afosa, che la caligine tinge di bianco, la scuote. La guardo negli occhi e noto un baluginio, una voglia di darci la sveglia con il vecchio “un due, un due, passoooo!” Ma è solo un lampo: ci riflette e si lascia cadere anche lei sul primo scranno a portata di “disturbo”. Ultimo è il corvo, citazione dotta, ma in questo caso si tratta di don Ciccio Delano, per gli intimi DVD, un longilineo pelato con pancetta clericale. E’ un santo padre, anche se non ancora Papa. Ha capito subito che agli studenti non gliene frega niente della religione, perciò li annichilisce con film di ogni genere, da quelli pornografici a quelli erotici. E’ mio amico: mi ha persino offerto una volta un cornetto con espressivo al bar Morisco. Per lui va tutto bene perché non deve mai interrogare, anzi nella sua ora i ragazzi sono muti, solo qualche grugnito e mani sotto il banco.
I nostri consigli hanno fatto storia: sono i più allegri, i più compatti. Tra noi non è sorto mai uno screzio. Tutti per uno uno per tutti. La stesura dei verbali, sino a qualche tempo fa, erano epici. C’era di tutto, dalla farsa alla pièce, dalla commedia alla lirica. Oggi siamo ci limitiamo a registrare l’indispensabile per timore che qualche ispettore sia preso da ictus durante la lettura.
Manca all’appello il prof di Lettere, ma quello è un caso a parte, perché quel prof sono io. Mediobasso, capelli grigio-bianchi con ciuffo, occhi nocciola, falso magro, sfalzino, folle, secondo gli alunni, fumatore. Con un piede nella fossa del pensionamento, guarda con nostalgia al passato, agli amici che è lì lì per salutare, alle “cronache di scuola” che non avranno più il colore, il calore dell’immediatezza, al gioco della chiave, alle chiacchierate al bar della scuola, al caffè maculato, al puzzo dei wurstel arrosto che impregna l’Istituto sin dalle prime ore del mattino. Non appenderà la penna, la tastiera del computer al chiodo, perché questa farà da tredunion coi ricordi da tradurre in immagini ,nei volti dei compagni, camerati volevo dire, con i quali ha condiviso vent’anni di vita.