venerdì 23 luglio 2010

LA SINDROME DEL PENSIONATO

LA SINDROME DEL PENSIONATO

LA SINDROME DEL PENSIONATO

Ormai ne sono certo: esiste la sindrome del pensionato.
Il guaio è che io ne sia stato colpito prima di essere collocato a riposo.
Per la verità mi è giunta una comunicazione dall’Ufficio Scolastico Provinciale che recita: Collocamento in quiescenza per limiti d’età dal 1° settembre 2010.
Cazzo, per limiti d’età! Mi danno già per un vecchio rincoglionito.
E dire che sino a qualche giorno fa per lo Stato ero estremamente efficiente, anzi, dovevo essere estremamente efficiente. Dovevo alzarmi presto, correre a scuola in tempo per il caffè, picchiare gli alunni recalcitranti, anche se alti il doppio di me, trascorrere un’intera giornata senza pausa pranzo per le incombenze varie di fine anno, essere disponibile a presiedere agli esami di Stato a Mola sottomettendo alla mia la volontà ben otto agguerritissimi docenti e altro ancora.
Manco il tempo di tirare un respiro di sollievo ed ecco la sindrome subdola, traditrice, infame, dolorosa. A dire il vero, non è stata poi così improvvisa.
Un giorno sedevo sul water… vi vedo sorridere, ma non lo fate anche voi? O siete stitici di natura e via a ingozzarsi di marmellata tamarine, prugne della California, Guttalax e lassativi vari? Ebbene, io non ne ho bisogno. Puntuale come un orologio, di quelli moderni, in eterno collegamento con le stazioni satellitari, ogni mattina lascio la parte peggiore di me alle fogne cittadine.
Come dicevo, appunto, ero lì sul wc e leggevo un libro, uno di quelli noir, di quelli scritti da Lucarelli, Macchiavelli e Camilleri, che sono i miei preferiti.
Lo sguardo mi andava sempre alle lancette perché, come sapete, per le 08.00 bisogna essere a scuola.
La vicenda, però, era avvincente, perciò dalli a leggere. Poi la sveglia mi dà segno non della festa che viene, ma del dovere che chiama. Cosa faccio a quel punto? Infilo un bel segnalibro alla pagina che non ho ancora finito e passo all’operazione successiva: la carta igienica.
A quel punto è successo. Un movimento maldestro, veloce e vroom, un lampo al fianco che mi lascia senza respiro.
Porca Eva! - grido così forte che mia moglie da dietro la porta mi chiede cosa sia accaduto.
Niente - sibilo a mezza voce.
Altro che niente, mi sono fregato.
Dal rotolone che non finisce mai attingo a piene mani, opero le pulizie d’obbligo e mi trascino sul bidet. Le abluzioni riesco a farle per forza di volontà, per abitudine inveterata, non come gli inglesi che si portano un certo odorino addosso. Stoicamente cerco di andare sotto la doccia, ma è un’impresa ardua e rinuncio.
Mia moglie bussa ancora: Che ti è successo? Apri!
Magari potessi - dico fra me.
Do uno scatto imperioso, la schiena fa crak e mi tiro su.
Il colpo della strega - e guardo mia moglie.
Che intendi dire? - mi chiede offesa.
Ho il colpo della strega, mi fa male il fianco, non riuscivo ad alzarmi.
Mia moglie non parla, va nell’armadietto dei medicinali, prende una siringa, una fiala di voltaren e una di muscoril.
Scopri il sedere! - mi intima.
E il disinfettante? - chiedo io.
Lo prendo.
E il cotone idrofilo? - Insisto cercando di allontanare il più possibile il momento del buco.
E sì, perché io ho le natiche suscettibili. Sin da ragazzino, non è un fatto di mo’, volevo dire recente.
Le infermiere si rifiutavano di infilarmi l’ago nel boffice perché puntualmente l’ago si deformava. Qualche volta s’è pure spezzato. Per questo tento di evitare le punture.
Ma che vuoi fare, quando mia moglie assume l’aria della signora Rottermaier bisogna obbedire.
Io, che ho faticato tanto a tirar su i boxer della mia nereria intima, ora debbo nuovamente abbassarli.
Mia moglie capisce il dramma che sto vivendo e mi aiuta.
Le mie natiche fanno il ballo di San Vito.
Stai fermo, per favore - mi sgrida la mia dolce metà - non posso infilarti se continui a muovere i muscoli in quel modo!
E che, sono io? - le rispondo - quelli fanno tutto da soli!
Come Dio vuole, l’alcool addormenta un po’ la parte e zac… l’ago si torce.
Te l’avevo detto - digrigno io - meglio una pillola.
Mia moglie non demorde. Quasi stesse facendo una gara contro il tempo, cambia ago e zaaacccc.
Questa volta l’ago ha quasi raggiunto l’osso. Soffoco per orgoglio maschile l’urlo di dolore che manco Carlo Alberto e mi arrendo. Il liquido che impregna il gluteo, quello dx, sembra non finire mai.
Ancora? - Chiedo.
Che vuoi, è lunga - mi risponde - sono due fiale in una!
Un leggero tremito percorre la gamba sin quando non termina l’operazione.
Mettiti a letto!- intima mia moglie.
Non posso, oggi c’è consiglio di classe e poi ricevimento dei genitori.
Tu sei pazzo.
Ci salutiamo così: lei alla sua e io alla mia scuola.
Di lì in poi le cose sono andate in modo accettabile: mi svegliavo un po’ rigido, iniezione tragicomica, poi camminavo e sembrava che tutto fosse passato. Dico sembrava perché, il mattino successivo, punto e daccapo, sino a che la goccia non ha fatto traboccare il vaso.
L’esame di maturità.
In segreteria mi avvisano: che culo, sei presidente a Mola!
E beh’- m’informo.
Come e beh, non devi fare un cazzo e sei pagato!
Tutta invidia, fossero venuti a Mola con me!
La scuola è bella, è un edificio antico, vicino al lungomare, ma dal lungomare non si può andare perché ci sono lavori in corso. Allungo e mi trovo in una via a solo accesso pedonale. In fondo c’è l’istituto.
Parcheggio non in zona blu sennò devo pagare un frego di soldi e mi avvio.
Svraang, una vettura quasi mi arrota. Cazzo, com’è possibile, di qui le macchine non devono passare!
E invece no, cavolo se ci passano!
Ci scommetto che se lo faccio io subito un vigile mi eleva una multa stratosferica.
Riprendo il cammino.
Minchia, com’è sconnessa questa strada! Non demordo e raggiungo la sede d’esame.
L’ausiliaria mi viene incontro nell’androne. Mi presento. Mi fa del lecchinaggio e mi invita a recarmi al primo piano dove mi aspetta la vicaria della preside.
Chiedo dell’ascensore. Non c’è.
Minchia! Le scale sono costituite da gradini di circa trenta cm ciascuno e sono tante. Ci vorrebbe la teleferica.
Chiedo alla mia sciatica di fare la brava. Manco per il cazzo.
L’anca comincia a pregarmi di non fare lo stronzo, di far mettere in moto il seggiolino per handicappati, che quello c’è.
L’orgoglio mi dice fanculo. E salgo.
Mi accoglie, quando sono in un bagno di sudore, una ragazza tutta pimpante: sono Maria - mi dice.
Piacere – annaspo - Natalino.
Non do a vedere la mia sofferenza, sennò che cazzo d’uomo sarei!
Per dieci giorni si ripete la manfrina.
I colleghi sono tutti giovani e pieni di salute, eccetto una, la docente di Educazione Fisica che ha una broncopolmonite. Almeno così dice.
La libero il più presto possibile e la mando a casa.
Raccolgo simpatie per questo gesto magnanimo.
Aboliamo il presidente - dico in assemblea plenaria - siamo colleghi.
Che cazzata, ciascuno comincia a fare i fatti suoi.
M’incazzo e nomino due vice presidenti.
Le cose cominciano a filare.
Faccio presente che non voglio rotture, perciò sono intenzionato a promuovere tutti a meno che qualcuno dei candidati non si affossi da solo. Tutti d’accordo? Ok? Ok.
I giorni corrono, io un po’ meno.
Chi non corre è il tecnico di laboratorio, uno sfalzino di prim’ordine.
Per agevolare il lavoro dei segretari di commissione e il mio, chiedo a Franco, il tecnico, di scaricare il programma Conchiglia.
Cacchio, questo non sa manco che esistono le ostriche, figurati le conchiglie!
Gli dico di rivolgersi alla segreteria della sede centrale che lì, certamente, saranno in grado di indirizzarlo.
Lui nicchia. Io ammicco. Telefona.
All’apparecchio, dall’altro capo, c’è una testa di quiz. Dice che manderà un fax.
‘Sto fax non arriva e io decido per il tradizionale.
I segretari scrivono e si lamentano: quello non capisce niente.
Condivido, ma non posso che constatare.
Scriviamo tonnellate di pagine che non leggerà mai nessuno.
Il tecnico se la gode con la 104 per madre inferma, perciò si deve assentare.
Come se fosse stato mai presente!
Lo mando a quel paese.
Poi cominciano e finiscono gli esami.
Finalmente consegno il plico in presidenza e sono libero.
Libero un cazzo, dal giorno dopo cominciano le dolenti note.
Cavolo, tutt’a un tratto non gliela facevo più a stare in piedi: il nervo sciatico e le due ernie che sono solo mie avevano deciso di ricordarmi che ero in odore di pensione di vecchiaia.
Ma come, da un giorno all’altro? Ieri giovane, forte, sicuro, ben piantato sulle tre gambe e oggi, acciaccato, accasciato, infermo, schiacciato dal peso degli anni anagrafici che si sono accumulati sulle mie spalle.
Non è giusto!
Io sostengo che sia una grande carognata! Immagino i volti di Brunetta e Berlusconi, senza dimenticare Sacconi. Chissà quante risate si farebbero a vedermi immobilizzato proprio nei miei ultimi giorni di servizio.
Ma torno a me e lascio perdere quei cialtroni. Come dicevo, sono azzoppato.
Per fortuna non sono un cavallo, altrimenti mi avrebbero già tirato un colpo di pistola in testa per farmi finire il più velocemente possibile in un ragù del macellaio.
Sarà, ma io penso che questa sia la sindrome del pensionato.