domenica 20 aprile 2008

Si Vive di Solo Pane

MINCHIUZZI ALLA RISCOSSA
Appena laureato, con centodieci e lode, il figlio di Colabrisi, Artemisio, fece il suo ingresso nel “Benpensante”.
Era certamente una clonazione del padre: stessa statura, stessi capelli, stessi occhi, stessa pancia, stessa flatulenza, stesso cappellaccio, stesso sigaro puzzolente.
A suo dire aveva trent’anni, ma ne dimostrava settanta.
Ci venne il sospetto che fosse proprio lui, il vecchio Colabrisi, a ripresentarsi a scuola sotto altra veste, ma il preside ci confermò, con tanto di timbro del Ministero, che si trattava del giovane Colabrisi, laureato anch’egli in Genetica Umana.
Poiché non ce ne fregava più di tanto, prendemmo per buone le dichiarazioni del preside e ci occupammo, ciascuno, dei casi propri.
Avvenne, però, che proprio Artemisio cominciasse a cacciare il naso in faccende non di sua pertinenza.
Forte della fama e del nuovo potere del padre, entrava nelle classi senza bussare e lasciando un alone non proprio profumato, che persisteva per ore, ci costringeva, anche nelle giornate più rigide, a tenere le finestre ben aperte.
Come se non bastasse, pretendeva di ripeterci all’infinito la scoperta dell’Homosex, sottolineando l’inutilità di noi docenti di discipline diverse dalla sua che, secondo lui, non apportavamo alcun beneficio alla cultura e alla scienza; ciononostante il suo vero obiettivo era sottolineare la pochezza e l’ottusità del collega Minchiuzzi.
I primi tempi, per cortesia, lo mandavamo a fare in culo delicatamente, con olio di vaselina, direi, ma quando ci ebbe riempito le palle al punto tale da dover ricorrere a sussidi farmacologici per non dare in escandescenze, decidemmo che era tempo di metterlo a tacere in modo definitivo.
Il buon Minchiuzzi, sempre più incazzato, si era parzialmente consolato facendosi nominare rappresentante sindacale, ma conservava nell’animo lo spirito di rivincita verso il vecchio collega e suo figlio. Notte e giorno, chino sui testi di genetica, sulle riviste scientifiche inglesi, americane e del Bangladesh, rovistava, scavava alla ricerca del dato importante, sfuggito all’analisi degli uomini di scienza, che avrebbe potuto sovvertire le teorie colabrisiane.
I suoi sforzi sembravano destinati al fallimento, poiché ormai le teorie evoluzionistiche ponevano Carino a capostipite della razza umana, relegando Adamo ed Eva ad un ruolo secondario, fattori squisitamente provvidenziali della robotica divina, umanizzata dal figlio fratricida.
Ma erano veramente di Carino i resti trovati nel suolo sottostante lo scantinato del vecchio Colabrisi? l’istoriazione era postuma o contemporanea alla vita del figlio di Adamo? Abele fu davvero lo stupratore del fratello o era mezzo finocchio anche lui?
Questi interrogativi ponevano una serie di problemi quali la vera funzione dello scimmione inventore dell’intruglio afrodisiaco, la pruriginosità delle gorilla, la comparsa dell’homo erectus (o cum erectione?) e non della foemina erecta, i pigmei in Africa e non solo a Lilliput, i profilattici ai militari, la pillola alle minorenni, la protesi agli eunuchi, l’acne sul volto degli adolescenti, i ribaltoni dei governi, la recessione economica, ecc...ecc...
Beh, su questi enigmi ponemmo la nostra attenzione.
Durante le ore di buco, a turno, a gruppi di tre docenti per volta, cominciammo a frequentare la biblioteca.
La nostra biblioteca è un antro buio, una catacomba scavata nelle fondamenta dell’edificio in cui lavoriamo, abitata da topi e da spettri: tetra e inaccessibile come quella descritta nel romanzo “Il nome della rosa”.
Libri polverosi e mai utilizzati si mescolano a residui di amianto e sterco di ratti, a liquami di fogna e ad avanzi di colazioni studentesche, a mozziconi di spinelli e a involucri di patatine, lasciando sulle mani degli utenti un che di untuoso e puzzolente.
Queste ed altre difficoltà, non ultima l’ostracismo della bibliotecaria, limitarono il nostro impegno a poche sedute settimanali.
Rosmunda Plasmatti, la nostra bibliotecaria, donna un tempo bellissima, ora non male, sosia di una delle più spregevoli figure femminili disegnate da Walter Disney, Crudelia Demon appunto, era, infatti, gelosissima dei segreti che custodisce nell’antro. Si dice che un giorno vi abbia condotto il marito e che ne sia uscita da sola, con le pupille dilatate, ridendo sguaiatamente e con le mani grondanti sangue. Interrogata dal maresciallo dei Carabinieri circa la sorte del coniuge e le evidenti tracce di sangue sulle vesti e sulle mani, si giustificò dicendo di aver sgozzato un pollo ruspante che il consorte, di cui non s’è saputo più nulla, le aveva portato perché lo apparecchiasse per il pranzo. Il sopraluogo effettuato dal magistrato, dott. Meno Mato, archiviò definitivamente il caso non essendo stata trovata traccia alcuna di Remo Quirino, marito di Rosmunda, ma solo topi grossi quanto cani danesi, famelici e aggressivi.
Noi, imbevuti di cultura, ricordando perfettamente la fine di Remo e la sorte di Quirino, pensiamo che il pover’uomo sia stato fatto fuori dalla moglie, divorato dai topi e asceso in cielo.
Ciò nonostante, armati non solo di coraggio, ma anche di coltelli, temperini, taglierini e temperamatite, osammo attraversare la soglia della biblioteca alla “ricerca del tempo perduto”.
Vecchie Bibbie, lasciate da docenti di religione, quando ancora si studiava nelle scuole, giacevano abbandonate in un angolo, semiaperte e sepolte sotto uno strato di polvere, mentre uno stuolo di acari bivaccavano gustandosi il passo della mela, il frutto proibito offerto da Eva a Adamo.
Ci sembrò un segno del destino!
Sin da ragazzini abbiamo sentito dire dai nostri genitori che “una mela al giorno toglie il medico di torno”; come poteva essere, dunque, che Dio avesse punito le sue creature per aver preferito curarsi da soli piuttosto che ricorrere alla mala sanità pubblica?
“Il peccato originale!”- gridò, trionfante, Minchiuzzi, togliendosi gli occhialini dal naso e starnutendo per un bolo di polvere che si era sollevato al suo urlo, dal vecchio testo che consultava.
Gli acari, in barba alla teoria che li vuole microscopici, lunghi quasi due centimetri, s’intrufolarono tra i baffi del nostro collega, facendoli agitare freneticamente, rizzare, decrescere, sino a scomparire, poi, fagocitati da quelle belve fameliche.
Minchiuzzi non vi fece caso, neppure vi badò quando gli acari attaccarono il parrucchino, riducendolo in pochi secondi ad un mucchietto di polvere, tanto era eccitato dall’intuizione.
La maggior parte di noi, in verità, pensò che avesse scoperto l’acqua calda, ma dovette ricredersi quando il genetico continuò a spiegare la sua teoria.
“Dio- ci spiegò Minchiuzzi, mentre la biblioteca si animava, si affollava di docenti, alunni, bidelli, la cagnetta Rosina, personale A.T.A. e preside, richiamati dal suo urlo possente- dopo aver creato Adamo, pensò bene di dargli compagnia: non Eva, che fu solo un caso, ma un altro essere del tutto uguale al primo!
Badate bene, quindi, un compagno, non una compagna!
La sua intenzione, infatti, era di non far soffrire di solitudine il povero Adamo.
Come tutti i geni, Dio è un distrattone di prima fatta: dimenticò l’incantesimo che aveva utilizzato per generare il primo uomo e non potendo seguire la stessa procedura della prima volta, decise di creare il nuovo individuo da una costola del precedente, facendo affidamento sulla sua infallibilità.
E qui casca l’asino! Fu un errore, infatti!
Si accorse, man mano che il prodotto prendeva forma, che al nuovo essere mancava qualcosa, che so… che il suo cavallo era spoglio… e corse ai ripari.
Ripassò nella mente diabolica (si fa per dire) tutta la dotazione di cui era fornito il primo umano, ricordò ciò che mancava e lo appioppò alla nuova creatura.
Doppio errore! Non solo non confezionò tutto l’occorrente, ma addirittura creò due palle enormi che procurarono al povero essere un fastidio terribile nella deambulazione.
Pensò bene, allora, ammettendo onestamente il proprio errore, di cambiarle di posto... e scelse il petto. Venne fuori il famoso seno a balconcino, oggi tanto sponsorizzato dalle TV.
In un’ultima revisione veloce si ricordò del pene.
Provate un po’ad immaginare con me cosa avvenne quando tentò di mettere a posto il fallo...
Una cosa è certa: combinò un casino tale nella pancia, per cui, prova e riprova invece del membro maschile, venne fuori l’utero.
Così, casualmente, creò la donna e se ne andò, immagino, tutto fiero della nuova invenzione.
I guai arrivarono dopo...
Probabilmente, se solo avesse immaginato quante responsabilità, quanti tormenti era lì lì per appioppare ai due disgraziati esseri, non avrebbe mai strappato la costola del povero Adamo.
Nel tentativo di rabberciare il nuovo umano non pensò che le due pere appese in petto e l’utero nella pancia avrebbero dato luogo a sensazioni strane nella coppia, alla nascita della sensualità, della sessualità e del piacere.
Si, amici miei, il piacere!… questa fu la vera rivoluzione!
E’ inutile nascondersi dietro un dito, è inutile affermare, come fanno il bigottismo clericale e il radicalismo femminista, che il maschio, e solo lui, ha voluto impostare la vita sulla ricerca del piacere, che il sesso sia l’unica cosa che conti per lui. E’ stato Dio che, per caso o per volontà, ha dato questo contentino a questa povera umanità distrutta dal dolore, dalle guerre, dalla morte, dall’affanno di dover cercare di sbarcare il lunario tutti i giorni, di dover sopportare le angherie quotidiane del capo ufficio, della moglie o del marito, dei figli, dei genitori e dei suoceri. E’ stato Dio che ha voluto lasciare, in questa valle di lacrime, qualcosa che potesse, alla fine della giornata, sotto le coltri, riavvicinare i due sessi in eterno conflitto tra loro, inventando le carezze, i baci, le parole dolci ed erotiche, i sussurri e la dolcezza… l'amore!
Il piacere, signori miei, è la vera grande invenzione di Dio, o della Natura, se volete, ed è inutile nascondersi dietro la pudicizia, è inutile creare tabù che l’Onnipotente non ha voluto”.
Come gli apprendisti, muti, estasiati dalla sua perizia circondano il fine tessitore, per spiarne le mosse, le rapide riprese, al fine di imprimerle nella mente ed emularle, così noi, in religioso silenzio, assediammo Minchiuzzi, rapiti dalle sue parole, pronti ad aiutarlo nell’immane impresa della ricerca.
“Per tornare a bomba – riprese con sicurezza Egidio, fiero dell’interesse suscitato, - la comparsa della donna sviluppò l’impulso sessuale, che si manifestò così prepotentemente da spingere, poi, il maschio ad unirsi in modo carnale alla femmina.
Ciò non avvenne subito, se le Scritture non mentono.
Eva vagava nel giardino dell’Eden senza meta; guardava, languida, gli alberi e sentiva sorgere in sé un desiderio tutto nuovo. Spesso si abbracciava alla loro corteccia e li leccava, mentre le sue tette premevano sul tronco.
Nacque così la prima ninfomane che la storia del mondo annoveri”.
Un primo moto di disappunto si avvertì nell’aria: un brontolio sordo, come un tuono lontano, pronto a far sentire lo schiocco del lampo.
Istintivamente l’assemblea si divise in gineceo e androceo.
La cosa non sconvolse il genetico, che continuò spavaldamente:
“La vista di tutti gli altri animali del creato che si accoppiavano accrebbe in lei il desiderio e la spinse a cercare di avvicinare tori, cammelli ed elefanti, certamente i più corteggiati per le lunghe e robuste dimensioni della proboscide… ma invano.
Per analogia rivolse la sua attenzione al serpente, che la rifiutò sprezzante dopo averla eccitata “serpeggiandole” fra le cosce.
Il serpente, signori miei, non la mela fu l’inconsapevole strumento della perdizione !...
Eva, umiliata dall’insuccesso con la bestia più repellente del creato, da quel momento nutrì un odio terribile ed eterno nei suoi confronti, che poi ha trasmesso in eredità a tutto il genere femminile, pur riconoscendo all’immonda bestiaccia il merito di averle provocato il primo orgasmo, di averla iniziata al piacere.
Non sapendo più a chi rivolgersi, disperata, si lasciò cadere piangente in un cespuglio. Lo scroscio di un torrentello attirò la sua attenzione, ma per quanto cercasse non scorse alcun corso d’acqua, ma solo un rigagnolo maleodorante che correva verso un rosso papavero. Fu così che scoprì il sesso di Adamo, l’unico disoccupato, disponibile e per certi versi simile al “biscione”. Da quel momento la propaggine dell’umano divenne l’oggetto dei suoi desideri.
Però, a vederlo lì, ciondoloni, inutile, inefficiente, la primigenia fu presa da sconforto.
Un giorno, assatanata più del solito, non ne poté più: preso il suo timido compagno per mano, lo trascinò sotto l’albero delle mele e gli offrì da succhiare non il pomo, che più tardi tradì la povera Biancaneve, ma una delle sue stupende tette, turgide e sode come il frutto.
Adamo non si accorse subito dello scambio ma, non appena avvicinò le sue labbra a “quel ben di Dio”, ne fu inebriato e precipitò nel peccato originale con la sua compagna che, felice, aveva raggiunto il suo scopo, o, se preferite, la sua scopata”.
Restammo tutti sbigottiti di fronte alla rivisitazione della Bibbia operata del buon Egidio. Nessuno ebbe il coraggio di proferire parola o di scaldarsi nel furioso battimani che aveva confortato, a suo tempo, il vecchio Colabrisi, anche se tutto ciò che aveva dedotto Minchiuzzi ci sembrava non paradossale, ma, addirittura, per certi versi condivisibile.
Le femmine bigotte del nostro istituto, colpite dalla blasfemità del Minchiuzzi pensiero, piangevano e ripetevano a memoria il segno della croce, pregavano in silenzio “snocciolando il rosario”e guardavano con disprezzo l’accusatore della loro progenitrice; le virago, al contrario, ghignavano mostrando il medio e portandosi la mano sinistra sul braccio destro teso col pugno in avanti.
Ma il fermento era nell’aria: dalle preghiere sommesse, dai lamenti soffocati, dalle lacrime silenziose e dai gesti evidenti si giunse in un attimo alla contestazione vibrante, sonora, pregna di sdegno, materializzata dal lancio di libri e monetine sul povero Minchiuzzi.
“Ma dove cacchio hai trovato tutte queste cazzate?”- chiese rabbiosamente Elsa Boncognati, docente di francese, supplente della supplente della titolare di cattedra in permesso per maternità a rischio.
“Scripta manent!”- sentenziò gravemente Egidio, indicando un antico libro gruvierato, sbocconcellato da qualche roditore miope e affamato.
Il grido di Marzia Pannellini che incitava alla battaglia “l’utero è mio e lo gestisco io”, richiamando le donne ai vecchi valori del femminismo, s’infranse, però, contro l’ondata dei topi che, risvegliati dal clamore, caricarono l’assemblea.
Le urla di terrore sostituirono quelle accusatorie, mentre si tentavano fughe precipitose in cerca di una via di scampo.
Ad un tratto Rosmunda Plasmatti, che dormicchiava seduta alla sua scrivania, risvegliata dal casino infernale che si era scatenato, resasi conto della situazione, balzò in piedi e, agitando nell’aria un frustino, in tedesco ordinò ai topi di fermarsi.
Il suo “sitz!” echeggiò per tutta la caverna, si diffuse per le scale e i corridoi, raggiunse il terrazzo e salì al cielo.
L’orda dei topi si arrestò d’incanto: le bestie, agitando il loro codino, si accucciarono sul pavimento lurido e umido in attesa di ulteriori ordini.
Rosmunda, allora, accarezzando i primi della fila sulla ributtante testolina (si fa per dire!), concesse alle bestiacce di tornare nelle loro tane.
Ordinati come truppe germaniche, i topi, scodinzolando e squittendo, pian piano, a manipoli di cinque per volta, scomparvero nei buchi neri e profondi che costellano la biblioteca.
Tornata la calma, Minchiuzzi rivolse alle colleghe un accorato invito alla pace, dicendo che se in apparenza, secondo la sua teoria, le responsabilità maggiori del peccato originale ricadevano sul sesso femminile, come pure affermavano le Sacre Scritture, l’uomo aveva le sue brave responsabilità, avendo ceduto lo scettro del comando nelle mani della donna nello stesso momento in cui aveva passivamente (si fa per dire) soggiaciuto o sopraggiaciuto alla passione. Dio era il complice che aveva avuto la sua brava parte di responsabilità, incorrendo nell’errore, mai corretto, della creazione di due sessi contrari ed opposti, ma che, come recita la Fisica, sono destinati ad attrarsi all’infinito.
Ciò, per Minchiuzzi, affermava la superiorità delle femmine e il “babbisciottismo”(metaforicamente per stronzaggine) dei maschi, da sempre schiavi della farfallina e dei favori femminili.
Questa giustificazione rabbonì Marzia che convinse il gineceo a desistere da ulteriori proteste.
Minchiuzzi, però, non era ancora soddisfatto; voleva, come l’ex collega Colabrisi, estendere al mondo intero la sua teoria e sapeva bene che senza prove le sue conclusioni non sarebbero mai state prese in considerazione.
La biblioteca divenne la sua casa, i topi i suoi migliori amici, la bibliotecaria, dicono le “malelingue”, la sua amante.
Stranamente, infatti, Rosmunda aveva ripreso a pettinare i neri capelli corvini, a coprire le labbra di un rossetto color melanzana, a laccarsi le unghie, a profumarsi di “Erotica 6”, a depilarsi le gambe, a stirarsi gonne e camicette, a non usare più slip e reggiseno.
Più di uno di noi invidiò Minchiuzzi, chiedendosi quale carisma possedesse per operare una simile trasformazione.
Bah!… misteri della vita…
Minchiuzzi dimagriva a vista d’occhio ma sembrava felice, poiché, diceva, era prossimo alla soluzione del problema.
Un giorno si presentò in Istituto con un fascicolo voluminoso, aria concitata e tremito alle mani: “alea iacta est!” disse quando venne fuori, tutto raggiante, dalla presidenza, in cui s’intravedeva Porfido, col capo accasciato sulla scrivania, singhiozzante e distrutto.
A grandi falcate valicò le scale, s’intrufolò nei corridoi, annusò l’aria e si diresse verso la stanza blindata dei computers.
Non ebbe bisogno di alcun aiuto, invasato com’era, quando avviò la comunicazione Internet. In pochi secondi, battendo vigorosamente sulla tastiera, Egidio inviò il suo messaggio a tutto il mondo.
Il Fax della presidenza partorì una sola risposta.
“Il professor Minchiuzzi, propugnando dettati contrari alle Sacre Scritture, è autore di Eresia, per cui - recitava asetticamente la copia della Bolla pontificia- deve ritenersi scomunicato “ab aeternum”.
Pochi giorni dopo Egidio si convertì alla religione dell’Islam.
Noi non abbiamo mai saputo cosa fosse scritto in quelle numerose cartelle, né abbiamo osato indagare, anche se qualcuno dice, fra il serio e il faceto, che Minchiuzzi abbia scoperto “il terzo mistero” di Fatima.

tratto da Si Vive di Solo Pane di Natalino Lattanzi

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