venerdì 4 aprile 2008

San Cedolino

San Cedolino

Era un giorno come un altro: cioè di merda.
L’ingresso dell’Istituto era come il solito affollato di studenti recalcitranti ad entrare, ma ansiosi di recarsi al bar per l’ennesima colazione.
Noi, i docenti, in attesa di accedere ai servizi di decenza per l’urlo della prostata che voleva prostrarsi; gli alunni sempre indecisi, ma in coda.
Se il bisogno urge, non c’è santo che tenga: devi entrare.
Per questo, l’androceo del “Fate presto Fratelli” caricò la schiera adolescenziale e, tra il belare pecorino, varcò la soglia del mercato usato della cultura usata.
Ancora una coda.
L’ingresso del bagno dei docenti androgeni fu coperto da una marea di toccomani che, muovendosi al ritmo della danza della pioggia, fischiettava le canzoni sconce degli anni della goliardia.
Ugo, che di solito va adagio, varcò per primo la soglia dei servizi igienici con un sospiro di soddisfazione.
Drago, il bide-llo (solo per restare in tema), ci soverchiò con la lingua infuocata e comunicò tra sputi e fiamme che nel gabbiotto erano a disposizione i cedolini.
Ce ne fregammo perché, com’è palese, avere il cedolino non significa mettersi in tasca la pecunia, ma solo un pezzo di carta che, per carità, può essere utile nei momenti di emergenza.
Ugo no! Lui è pignolo; conserva tutti i cedolini ricevuti da quando ha prestato giuramento nella Pubblica Istruzione.
Un giorno ce ne mostrò alcuni di prima dell’Unificazione, a cui rispondemmo con quelli della probabile disunione (vedi Bossi e &).
Ugo arrossa gli occhi pregustando il piacere di leggere le cifre stitiche e sempre uguali incise sulla carta computeristica del Mi(ni)stero del Tesoro. (Dove sarà mai?...)
Ugo umetta le dita e “trizia” la carta frusciante della busta strappata da cui lentamente fa emergere il suo cedolino.
Ripete l’operazione più volte per prolungare il piacere, quasi stesse spogliando la Canalis.
Ugo, quindi, con le mani ancora bagnate (non mi chiedete di cosa) venne fuori, canticchiando un vecchio motivo dello “Zecchino d’oro” Ho fatto la pipì, ho fatto la pipì papà.
Drago, poiché nessuno s’era avvicinato al gabbiotto per la prebenda, lo attendeva al varco.
In un batter d’occhi vi fu un passamani che manco Berlusconi quando si appropria dell’ennesimo canale (si sussurra che sia già proprietario della futura TV digitale universale in società col Padreterno).
Il cedolino, o la fascetta stipendiale, (è una questione di ermafroditismo, come la medaglia a due facce del collega di Fisica), era in evidente fase erettiva (anche questo è un indice, o forse medio, bisessuale), perché, birichino, sgusciò immediatamente dalla vagina, per catapultarsi, tuffarsi nella calda e umida mano di Ugo.
Mai a Gomorra fu raggiunta tanta estasi.
Ugo, che ben conosce l’arte degli amanuensi per lungo tirocinio in età pre e post adolescenziale, solleticò amorevolmente la carta tesoriale piegata in tre parti e lentamente, con l’occhio sempre più rosso, più languido, più smorto eiaculò un “settemilaottantanove” che fece girare di scatto tutti noi che ancora l’avevamo in mano.
Ugo sbiancò, inforcò gli occhialini da presbite (anche se si ostina a dire che è ipermetrope) e sbirciò e lesse e rilesse le cifre impresse sulla carta divina: set- te -mi -la –ot- tan- ta -no ve, alla fine sillabò tutto compreso.
Nessuno di noi voleva prestar fede a quella boutade, ma tutti sommergemmo Ugo e leggemmo.
Se-tte- mi-la-o-tt-an-tan-ove sillabò a sua volta il collega di ragioneria che non ha frequentato il liceo classico.
Ancora oggi il preside cerca Drago, si è persino rivolto a “Chi l’ha visto”, dopo che il povero bide-llo, spinto nel bagno, fu assalito da tutti noi novelli cercatori d’oro.
Il destino ha voluto spazzarlo, con il nostro ne ha estinto la specie, ha chiuso definitivamente la storiografia fabulistica del drago e la principessa, lasciando, forse, delle scorie nelle fogne del “Fate presto fratelli”.
Ogni frontiera ha i suoi martiri (sic o sig!).
Il sacrificio dell’ausiliario fu vano, purtroppo.
Non uno di noi visse la stessa lussuriosa avventura di Ugo.
I nostri cedolini furono sacrificati nel rogo mattutino del rito dell’accendino e tra volute di fumo sono saliti sino alle ampie narici della Moratti che batte mattutinamente le ampie sale dei ministeri col portafogli nella cerca affannosa di cospicui fondi per le scuole private.
Ugo fu invidiato, guardato in cagnesco, assalito e spogliato della busta paga che ora troneggia, con una lampada votiva, sulla parete maestra della sala docenti.
Ogni mattino, a turno, ciascuno di noi depone un mazzetto di fiori di campo sulla mensolina posta sotto l’icona e recita preghiere a San Cedolino.
Ma lui è una sfinge.

Tratto da Cronache di Scuola di Natalino lattanzi

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