mercoledì 10 settembre 2008

Sic Stantibus Rebus

Sic stantibus rebus
Minchiuzzi è laureato. Nessuno lo credeva. Noi pensavamo che per una di quelle strane leggi di un tempo, quelle per cui cuochi divenivano docenti, avvocati prof. di educazione fisica, ex bidelli presidi, beh, per una di quelle leggi anche lui avesse potuto fregiarsi del titolo di docente senza essersi spaccato il culo sui libri di testo griffati dai baroni universitari. L’altro giorno, trionfante, mentre eravamo al bar, mostrò il suo diploma targato 1972 perché si era scocciato delle frequenti illazioni sul suo conto. Tanto di 110 e lode in Scienze Apolitiche. Mai sentita prima quella facoltà; inoltre da noi insegna genetica. C’insospettimmo. Un mio amico lavora nella segreteria generale dell’Università, quella in cui si rilasciano i diplomi originali di laurea. Non frapposi indugio: telefonai. Oreste Pugnetta mi rispose con la sua parlata strascicata da texano… da molfettese cioè. Non appena mi riconobbe mi salutò con il solito -“ciao, Nanni, sempre seghe, vero?”. Anche lui stava sorbendo il caffè. Il caffè per Oreste è come la benedizione papale nel giorno di Pasqua. Ha una sacralità tutta sua, particolare. Oreste lo centellina alternando a ogni sorso una tirata alla pipa di radica che fuma da sempre. Lo mescola con il fumo che ingoia con ingordigia, cacciandolo nelle profondità degli alveoli polmonari senza tossire; con lo sguardo rivolto al cielo butta fuori ampie volute di fumo, quasi a mandare un messaggio al padreterno, come facevano i pellerossa quando sacramentavano tra loro contro i bianchi sterminatori di bisonti. Il barista, uno serio il suo, gli serve la bibita in una coppa da cremolata (un gelato tipico del Sud) in cui il mio amico intinge il cannello della pipa quando il caffè è agli sgoccioli per lasciar sedimentare sulle papille linguali il fumo aromatizzato al Segafredo, la sua marca preferita. Non so perché mi chiami Nanni, né perché, lui, col cognome che si ritrova, mi chieda ogni volta se faccia ancora pugnette.
Ci conosciamo da ragazzini, quando la mia famiglia si trasferì nello stesso stabile in cui abitava la sua.
Il primo incontro non fu dei più simpatici. Lui aveva la sua gang, di cui era il capo. Scorazzava per le scale del palazzetto in cui abitavamo, che portava ancora i segni di un possibile crollo, tanto era puntellato con travi grosse una trentina di centimetri, scivolando sui corrimano. Noi ci eravamo stabiliti provvisoriamente lì perché la nostra precedente abitazione era stata presa di mira dai bombardieri americani, i B29, che evidentemente lo avevano in grande antipatia. Un giorno, durante una delle solite scivolate, Oreste mi era precipitato addosso procurandomi un bozzo sulla fronte che non si ruppe solo perché il mio cranio è a prova di martellate; lui, invece, svenne. Questo fatto non gli andò a genio, perché aveva la fama di duro. I suoi compagni cominciarono, così, a non essere più convinti della sua leadership e a guardare a me con un certo interesse. Nacque, in questo modo, una rivalità che risolvemmo con una scazzottata, come avveniva nei film di John Waine. Io, per la verità, ero contrario alla violenza perché i miei avevano fatto di me un timorato di Dio, mandandomi sin dall’asilo presso monache e preti, ma ci fui tirato per i capelli quando, di fronte a un mio ennesimo rifiuto, Guido, uno della banda, mi disse che ero una checca. Feci in modo che lo diventasse lui sferrandogli un calcio nelle palle e, poi, accettai la sfida. Ci picchiammo rompendoci labbra e naso. Alla comparsa del sangue,però, ci guardammo negli occhi e assalimmo gli altri componenti della gang che assistevano compiaciuti alla nostra macellazione. Li stendemmo tutti e divenimmo amici.
-Nanni del cazzo! - ruggii.
Il nome Nanni mi fa andare in bestia. Si chiamava così un giovane gay degli anni ’60. Biondo e sculettante, si aggirava in Piazza Umberto invitando noi ragazzi (non eravamo che monelli di una dozzina d’anni) a seguirlo nei vecchi portoni delle case diroccate dalla guerra. Lo seguivamo. Nanni scendeva le scale che portavano ai rifugi della II Guerra Mondiale e, giunto nel luogo che riteneva più opportuno, si calava i pantaloni. Solo allora, sghignazzando, lo deridevamo gridandogli dietro culattone, e scappavamo facendo le scale a quattro a quattro. Divenuti più grandi, eravamo noi a prendere l’iniziativa. Nanni, che ormai ci conosceva bene, ci percuoteva le orecchie con una serie di imprecazioni che avrebbe scandalizzato anche la più vecchia maitresse della città, apprese quando accompagnava il papà al porto, dove il pover’uomo faticava come un matto a scaricare balle pesanti quintali. Nanni, allora, era un bel ragazzetto di 17 anni, biondo, esile, dai lineamenti delicati, con due occhioni azzurri che ispiravano tenerezza.
La scoperta del sesso dovette essere necessariamente traumatica se fu uno scaricatore del porto, Brutus (così detto per la terribile somiglianza con il rivale di Bracciodiferro) a violentarlo nella cambusa di una nave militare americana sotto gli occhi divertiti di quattro marines ubriachi.
La storia che circola per la nostra città non si limita a queste poche, squallide notizie, ma, man mano, si è arricchita di varie altre sfumature. Si narra, infatti, che Nanni piangesse per molti giorni e che non avesse rivelato ad alcuno i motivi della sua disperazione. Solamente la madre, Elvira, riuscì a vincere la reticenza del figlio con la promessa di un giro sulla ruota panoramica del Luna park. Il padre no. Era morto qualche mese prima, la sera del 2 dicembre del 1943, nelle acque del lungomare di Bari, col ventre squarciato dal frammento di una bomba tedesca lanciata da un bombardiere Ju-88. Il suo corpo galleggiò in prossimità della riva per tutta la notte, prima che due volontari lo riportassero a terra ormai dissanguato e coperto dalle terribili vesciche dell’iprite, un gas letale di cui era imbottita la stiva della nave americana John Harvey. Quella notte persero la vita più di mille persone, di cui circa trecento civili baresi. Quel tragico episodio di guerra oggi è ricordato come la seconda Pearl Harbor, in cui le forze alleate di stanza a Bari persero 17 navi e 700 di soldati. Fu il più grave fatto di guerra chimica verificatosi nel secondo conflitto mondiale.
Elvira, armata di coltello, si recò al porto.
Brutus era lì, a ridere della sua prodezza, quando sentì la punta dell’arma pungergli il collo all’altezza della giugulare. La donna non cercava stupide parole di scusa: esigeva che Brutus riparasse in via definitiva al suo errore esaudendo la richiesta del figlio. Il manovale accettò pur di aver salva la vita. Fu così che Nanni si trasferì da Brutus con cui convisse per circa vent’anni.
Beh, cazzo, ditemi se non era logico che non mi andasse di essere chiamato Nanni!
Riprendendo un gioco che facevamo da bambini, gli risposi: Oreste, amico di Gargiulo, se lo prende sempre in …
Rise: -Va bene, dimmi cosa vuoi.
Gli raccontai in breve del titolo di laurea di Minchiuzzi, della facoltà e della valutazione.
Rise ancora: Ma mi vuoi prendere per il culo?
-No, è vero… c’è tanto di timbro e firma del rettore dell’Università.
La pausa che seguì era il segno che Oreste stava mandando il fumo al cielo.
-Hai detto Minchiuzzi … e il nome?
-Egidio.
-Quando è nato?
-Non lo so, ma posso informarmi…
-Non fa nulla, ci penso io. Dammi un po’ di tempo.
-Quanto tempo!?
-Beh, il tempo di finire il caffè e tornare in ufficio.
-Ho capito, ti telefono tra un paio d’ore.
-Non dire stronzate, ti chiamo io tra un’ora circa.
-D’accordo.
-Ciao.
-Ciao.
Come immaginavo, mi telefonò dopo due ore. Il brusio che proveniva dalla cornetta con voci sovrapposte, risate soffocate e chiacchiericcio di tazzine che si baciavano con cucchiaini metallici mi impediva di distinguere chi fosse il mio interlocutore, poi, finalmente, la voce di Oreste divenne riconoscibile:
- Hello, Nan … Nik?
-Si, dimmi!- e schiacciai una zanzara che si era posata sul mio braccio scoperto, decisa a trasfondersi il mio sangue.
- Allora, non è laureato in Scienze Apolitiche. Quel diploma di laurea è stato annullato quaranta anni fa per un errore macroscopico della stamperia. Il tuo Minchiuzzi è laureato dal 1971 in Scienze Chimiche con 90 su 110. Il diploma originale non è stato mai ritirato, giace ancora negli archivi dell’Università. Ha solo ritirato alcuni certificati di laurea agli inizi degli anni ’80. Non farne parola con altri, però…è segreto d’ufficio. Se si viene a sapere che ti ho informato mi fai passare dei guai per la privacy.
-Sta’ tranquillo, sarò muto come uno che ha tutto un bigné in bocca.
-D’accordo, ti basta?
Mi grattai la testa: Sì, grazie.
-Grazie un corno, mi devi un favore! Uno di questi giorni verrò da te a scroccarti un paio di quei gelati di caffè che fai con quella macchina meravigliosa. Anzi, penso che verrò a prendermi la macchina.
- Stronzo, è il manico che conta!
II suono gutturale che emette quando distorce le labbra e digrigna i denti mi indicò che aveva sorriso.
Minchiuzzi è il re dei chiavici. Ancora una volta s’era preso gioco di noi. Pensai di ripagarlo della stessa moneta.
A scuola chiarii solo che Egidio s’era divertito alle nostre spalle e che la sua laurea, quella vera, in Scienze Chimiche, così come mi aveva assicurato Oreste, consentiva, non si sa per quale arcano motivo, anche l’insegnamento in Genetica.
Un mese dopo, quando Minchiuzzi s’era vantato anche con il guardiano del palazzetto dello Sport , gli operatori ecologici addetti alla raccolta del differenziato e con Rosina, la cagnetta meticcia, mascotte dell’Istituto, di averci gabbati tutti, d’accordo col dirigente amministrativo, escogitai la rappresaglia. Varcai, così, il 20 ottobre, la soglia del nostro istituto fingendo una grande preoccupazione. Egidio era già al bar, in compagnia della solita combriccola con cui consumiamo la colazione mattutina.
-Un caffè maculato e un cornetto- dissi con aria affranta.
Gianni Estroverso, mio alter ego, smorzò il sorriso che gli aleggia sulle labbra ogni volta che mi viene incontro.
-Cosa t’è successo? Mi chiese preoccupato.
- Un’ira di Dio, ecco cosa mi è successo!
-Sarebbe?
-Sarebbe che forse mi sbatteranno fuori della scuola senza pagarmi un cavolo, anzi rifondendo l’Amministrazione.
-Comeee?- chiesero il preside e Minchiuzzi.
- Si, pare che per i laureati del 1970 al ‘73 sia sorta un’inchiesta sulla validità del titolo di studio… altro che la stronzata della laurea in Scienze Apolitiche- dissi guardando in cagnesco il genetico.
-Come sarebbe?- intervenne il preside restando con la tazzina del caffè a mezz’aria.
- Sapete certamente dello scandalo che è sorto per l’ammissione alla facoltà di medicina…
-E che centra?-m’interruppe Porfido.
-Mi lasci finire, preside. Come dicevo, i test d’ammissione alla facoltà erano contraffatti per la collusione di alcuni docenti universitari con studenti e personale ausiliario. L’inchiesta, per un Gip arrivista e che non sa farsi i cavoli suoi, si è allargata a macchia d’olio. Le indagini hanno coinvolto tutte le facoltà, andando a ritroso nel tempo, sino agli anni ’60. E’ venuta così alla luce tutta una serie di illegalità compiute negli anni ’70 riguardo i titoli di laurea rilasciati in varie facoltà.
Minchiuzzzi cominciò a agitarsi: Anche la mia?
-Penso di sì, ma come per tante altre. L’indagine ha abbracciato, come ho detto, tutte le facoltà, limitatamente, però, ai primi anni ’70.
-Dici anche i laureati del ’71?
-Caavolo! Se l’arco di tempo è dal ’70 al ’73, cavolo se c’entra il ’71. E’ il mio anno di laurea!
-Anche il mio!
-Egidio, scusa, ma che mi frega! Io sto pensando al mio!
-Dai che è una cazzata, ti vuoi vendicare dello scherzo del mese scorso…
-Tu devi essere matto… vedi se ho voglia di scherzare su un argomento del genere!
-E per… perché tutto que… questo?-balbettò il genetico.
-Ma, che forse hai la coscienza sporca?- intervenne Gianni che aveva cominciato a capire.
Il dirigente amministrativo entrò nel bar e si avvicinò al preside con un foglio protocollato fra le mani. Si appartò in un angolo con Segaioli e confabulò con lui sottovoce guardando di tanto in tanto il buon Minchiuzzi.
Minchiuzzi era sulle spine.
Perché mi guardate, cosa è scritto su quel documento?.
Il preside assunse un’aria grave: Professor Minchiuzzi, venga con me in presidenza.
-Ma cosa succede?-implorò Egidio.
-Stia tranquillo, mi segua in presidenza- confermò Porfido con voce ferma.
Minchiuzzi si appoggiò al bancone: E lui no?- piagnucolò indicando me.
-Lui? No, perché dovrebbe?
-Ma ci siamo laureati tutti due nel ’71-rantolò Minchiuzzi che era ormai al colmo della disperazione.
-Ebbene?
-Ma anche lui potrebbe aver brigato…
Il preside lo interruppe: brigato per cosa? Minchiuzzi cosa mi nasconde?- si accigliò Porfido.
-Veramente… una raccomandazione…
-Stia zitto- lo interrupe ancora una volta Segaioli- le questioni private le discutiamo in separata sede!
Minchiuzzi seguì Porfido a testa bassa in presidenza. Porfido chiuse la porta e ordinò all’ausiliare di servizio di non disturbarlo.
Rimasti soli, Gianni sbottò in una risata e mi disse che mi aveva sgamato.
Portammo via di peso l’ausiliario di guardia alla porta di Porfido e origliammo.
Minchiuzzi balbettava, pregava, si difendeva, incolpava, imprecava. Ad un certo punto lo sentimmo invocare Allah. Venne fuori come un ossesso: brandiva il fermacarte di bronzo di Porfido. Intuii le sue intenzioni e mi detti alla fuga. Quel minchione di Porfido non gliela aveva fatta a portare a termine lo scherzo, nonostante il dirigente amministrativo gli avesse chiesto di tenere il prof di genetica sulla corda sino al giorno successivo.
Egidio non mi parlò per una settimana, ma quando gli proposi, tenendomi a debita distanza, di riappacificarci davanti ad una buona cena nel miglior ristorante della città, si acquetò.
Con Gianni e Porfido lo prelevai da casa sua la sera successiva e ci recammo al Sorso Preferito, gestito da un mio ex alunno. La cena fu a base di antipasto ai frutti di mare, linguine alle vongole, aragosta al vapore, frittura mista,vini di alta qualità, frutta di stagione, dolce, sorbetto, caffè e ammazzacaffè. Sazi, Porfido, Gianni ed io ci allontanammo per fumare una sigaretta. Egidio preferì attenderci nell’interno del locale dove un cantante di strada aveva appena intonato “O sole mio”. Sul momento ci venne di giocargli un altro tiro mancino. Ce ne andammo. Il giorno dopo, stranamente non incazzato, ci disse che aveva scucito 300€ più una lauta mancia ai camerieri. Minchiuzzi è fatto così… per questo è mio amico.
tratto da Homosex - Si vive di solo pane di natalino lattanzi

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