martedì 30 settembre 2008

IL LABORATORIO MULTIMEDIALE

La prima volta che misi piede nel primo laboratorio d’informatica mi sembrò di entrare nel mondo delle meraviglie. Io ero, solo per rispettare la favola, Alice, e il coniglio bianco era il tecnico di laboratorio, Osvaldo La Gomma, che tutti per affetto chiamiamo Capitan Uncino, ma di solito solo Uncino per l’odio che nutre per il mondo ittico. I computer erano nuovi di zecca, i monitor erano altrettanti specchi a sfondo nero, le tastiere bacchette magiche che producevano il reale e l’irreale, il mouse il solito topaccio di fogna che percorreva le distanze speculari per inseguire, come pezzi di formaggio, lettere e immagini che correvano sui video. Ma non basta. Persino il pavimento della sala era tirato a lucido con quegli stupendi prodotti chimici che ragazze svestite pubblicizzano sulle nostre televisioni. Ero stupefatto. Pur avendo poche o nulle nozioni d’informatica, mi trasformai in mr. Hide e produssi con i miei alunni decine di CD con progetti sperimentali sull’interland barese. Poi la scuola s’ingrandì, s’ingigantì anzi; non eravamo più io e qualche altro docente di buona volontà a varcare la soglia di quel magico mondo, divenimmo duecento a contendercene il possesso, sia pure temporaneo. C’era un via vai davanti la porta blindata che mai i bagni delle sale cinematografiche quando si proiettava la Corazzata Potyonki hanno annoverato. Le fette maleodoranti infilate in scarpe ginniche 500 € al paio di migliaia di alunni cominciarono a calcare il magnifico pavimento di marmo insozzandolo con il terriccio esterno che ne divenne parte integrante, le tastiere furono pestate da centinaia di migliaia di mani sporche e unte d’olio di focaccine manipolate da Leonzio, il nostro gobbo di Notre Dame, i monitor divennero specchio per le alunne che dovevano rifarsi il trucco, mentre per gli arrapati cronici costituirono il mezzo virtuale per toccare le tette di qualche fanciulla la cui immagine compariva d’incanto a schermo intero; i mouse assunsero il compito di supposte per gli stitici doc. La polvere cominciò, così, ad accumularsi sui banchi, mentre le vetrate furono coperte da chewingum e sabbia, che il vento di Levante porta sino a noi, tanto da trasformare il tutto in una camera oscura.
Incurante dei parassiti, dei batteri e delle piattole, l’altro giorno, precettato Osvaldo, mi sono seduto alla poltrona di comando per sviscerare ciò che la mia diabolica mente aveva partorito circa l’orario del corpo docente. Uncino non era solo. Veleggiava, con lui, Rodolfo Lo Smilzo, il tecnico del secondo laboratorio. C’è da dire che quando i due parlottano tra loro diviene impossibile decifrare una sola parola. Usano un linguaggio primordiale, fatto di suoni gutturali, di strofinate di palle con relativo mugugno di soddisfazione, di masticatura di gomme americane fatte in Cina con licenza italiana, di gesti inconsulti di solito accompagnati da risolini con piega amara e sventolio di fazzoletti di cotone per detergere l’abbondante sudore provocato dal difficoltoso confronto verbale sui rispettivi regni.
M’imbattei in uno di questi momenti. Avrei preferito scaricare la tensione del lungo lavoro da solo, chiuso nella rabbia che si manifesta ogniqualvolta mi si presenta le cahier de lagnance dei miei colleghi, amareggiati dai frequenti buchi che costellano il loro orario. Ma Osvaldo e Rodolfo avevano voglia che io facessi da arbitro alla loro tenzone verbale. All’oscuro dell’oggetto del contendere, chiesi che almeno mi si dicesse di cosa stavano parlando. E fu un errore. Uno da un lato, l’altro dall’altro, mi assalirono con le loro emissioni vocali incomprensibili, mentre ambedue gocciolavano secrezioni sudoripare da tutti i pori visibili del loro corpo. Osvaldo va sui toni alti , Rodolfo è il più ermetico. Tra vari embhe ,e già, uuhmm , così, perché, quando , quindi, non sono fesso,che poi ho cinquant’anni, uniche espressioni che riuscii a comprendere, e gli e già (ne hanno molti in comune) , mo senti, dato che, se vuoi una gomma, i contribuuti ecc dell’altro, non capii una mazza. Mi sentivo come Paride tra due trans nei panni di Venere e Giunone,con la voglia di spiaccicare sul loro cranio la mela, per equa divisione, piuttosto che darla a uno dei due in segno di vittoria. Dopo circa dieci minuti di questo linguaggio cifrato più consono ai servizi segreti che a poveri dipendenti della P.I., mi arresi. Li stoppai e li pregai di tornare al linguaggio originario, anche al dialetto purché mi si parlasse in modo intellegibile. Si offesero. Mi aggredirono con altri grugniti e squilli di tromba non identificati, ma che stavano a indicare il disappunto per la mia rottura di palle. Li mandai a fanculo e cominciai a muovere le mie pedine sulla scacchiera del quadro orario.
Non si persero d’animo. Poco dopo tornarono alla carica, nonostante inviassi mentali e fervide preghiere per renderli temporaneamente muti.
Tra i vari intercalari, sottoponendo la mia corteccia cerebrale a uno sforzo immane, compresi. Il tutto verteva su alcuni compensi aggiuntivi, quali quelli relativi ai corsi POF,PON e POR. Chiedevano a me, che non me ne fotte, se fosse giusto che un altro aiutante tecnico godesse di privilegi a loro sempre negati, nonostante vantassero una maggiore anzianità di servizio nel Benpensante. Cercai di calmare la loro animosità, che si manifestava con un effluvio di parole smozzicate, sputacchi di saliva sul mio giubbino, pugni sulla scrivania in truciolato, calci alle poltroncine delle postazioni di computer, motivando le decisioni del preside non come frutto di partigianeria, ma come scelte tecniche, data la diversa attribuzione di mansioni. E lì sbagliai. Non appena pronunciai diversità di mansioni, mi assalirono, mi strattonarono per il giubbino, mi spinsero sulla sedia, mi schiaffarono quasi negli occhi i loro indici per affermare la loro supremazia in fatto di gestione dei mezzi informatici. Infine conclusero: il loro rivale era, a detta dei due, il favorito di Porfido Segaioli. Per stemperare l’atmosfera con fare sornione chiesi se fossero sicuri che Porfido fosse gay. Per loro ridere a crepapelle è mostrare appena le dentiere quotidianamente lucidate. E lo fecero. Il luccichio del sole sugli incisivi durò una decina di secondi, poi, calmatisi, mi chiesero, a gesti più che a parole, di essere portavoce del loro scontento, poiché, bontà loro, ero adatto ad assumere il ruolo di patrocinante dei diseredati, come essi ritenevano di essere. Confessai la mia impotenza. Mi assalirono ancora. Mi arresi. Zittirono. Poi, dopo un attimo di pausa, come due orologi sincronizzati, programmati sullo stesso orario di sveglia, riattaccarono. Si erano pentiti. Decifrai che mi pregavano affinché non facessi parola con alcuno, men che meno col preside, del loro sfogo. Finsi di nicchiare ma, prima che cambiassero idea, aderii alla loro richiesta. Mi lasciarono solo nella piccola cloaca e scaricai il mio nervosismo attribuendo prime e seste ore di disposizione ai miei ignari e incolpevoli colleghi. Frattanto il parlottio al di là della porta blindata continuava. Temperai nervosamente la matita. La punta s’incastrò tra la lama e la fessura che consente ai riccioli di legno di venir fuori. Tirai con forza e trac, castrai l’attrezzo della sua mina per intero. Sacramentavo quando Osvaldo rientrò nella stanza: ci aveva ripensato, Rodolfo no. Mi si avvicinarono, e ripresero a gesticolare e a grugnire. Mi ricordarono King Kong, il gigantesco gorilla che si voleva fare la dolce fanciulla bionda. Per fortuna sono bruno, o meglio grigio brunito, e non una dolce fanciulla.
Si affacciò nella stanza il prof Del Cozo, mio socio nella redazione dell’orario. Del Cozo, RSU a tutti gli effetti, deputato a difendere i diritti dei lavoratori, fu la mia ancora di salvezza.
Del Cozo è flemmatico, per meglio dire è un paraculo. Dice sì a tutti per non subire pressioni nè fisiche, nè psicologiche. Chiaramente il più delle volte viene meno a ciò che promette, ma si giustifica col sorriso sulle labbra e tutto gli è perdonato. Quando ciò accade, la maggior parte dei petenti si rassegna, perché non ha il coraggio di affrontare vis a vis il gota del Benpensante. Del Cozo, il piccolo Cesare, si assise in mezzo a lor e con aria da confessionale li ascoltò. Non capì un cazzo ma, comunque, si dichiarò a loro disposizione. Poi sedette accanto a me. Osvaldo e Rodolfo frattanto si erano ammansiti; borbottarono ancora vari e già, ho cinquant’anni, non mi prende nessuno per il culo e altre colorite accezioni e, seduti a due postazioni per studenti, si dettero alla lettura di City.
Un silenzio chiesastico scese nella sala computer. Del Cozo ed io ci guardammo sorpresi. Volgemmo lo sguardo alle nostre spalle e vedemmo i due indefessi lavoratori col capo poggiato su due tastiere, nelle tenere braccia di Morfeo, dormire come due angioletti.
Il timore di svegliarli ci fece desistere dal continuare il nostro lavoro. In punta di piedi raggiungemmo l’uscita e li lasciammo ai loro sogni beati. Il corridoio che permette l’accesso alla sala computer era bloccato. Decine di colleghi che avevano preso visione dell’ennesimo orario provvisorio ci attendevano al varco. Non appena ci scorsero ci circondarono. Avevano tra le mani proposte di orario personalizzato, ciascuno adducendo inderogabili problemi di famiglia. Duri più dei protagonisti del film Noi duri non ci facemmo intenerire né da chi dichiarava di dover lasciare il bambino di tre mesi fuori dalle cancellate dell’Asilo Nido, a Napoli, alle tre del mattino per essere puntuali a scuola, a Bari, in prima ora, né da coloro che vantavano padri, madri, nonni e zii da dover assistere in ottemperanza alla legge 104. Solo due furono i casi che prendemmo in considerazione, perché veramente degni di comprensione. Il primo ci fu esposto dalla collega d’Inglese, Carmen Cugina della Sorella, di antica famiglia nobile originaria di Zollino. La poverina rappresentava veramente un caso particolare. Con un marito in pensione e due figli militari di carriera imboscati in fureria, aveva un appartamento di 230 mq da sistemare ogni mattina con l’aiuto di una sola cameriera o collaboratrice domestica, come cacchio si usa dire oggi; l’altro era ben più grave. La prof Scoppola, docente di Matematica, madre di due figli fuori corso alla facoltà d’Ingegneria Nucleare, aveva grave necessità di non essere in servizio in sesta ora poiché doveva prelevare i suoi pargoli all’uscita delle lezioni universitarie. Mostrammo il nostro buon cuore, Del Cozo e io, dichiarando che avremmo esaminato i loro casi vista la gravità delle motivazioni addotte. Mentalmente li mandammo affanculo, praticamente glielo mettemmo nel boffice.
Le urla di protesta destarono Biancaneve e la Bella addormentata. La Gomma e Lo Smilzo si unirono al coro dei contestatori. Pensavano i due imbranati che Del Cozo e io stessimo indirizzando i nostri colleghi verso il laboratorio di Quinto il Pelato, il terzo aiutante tecnico, beniamino sine condicio del dirigente scolastico. Nonostante le nostre proteste d’innocenza, sfiduciarono Del Cozo e dichiararono che essi stessi avrebbero provveduto a far abolire lo scandaloso Ius primae noctis. Non c’entrava un cazzo, ma lo dissero.
Seguiti da un nugolo di docenti, Osvaldo e Rodolfo raggiunsero la presidenza. Porfido era impegnato con il team della Qualità. Anche lì, casino. Una ventina di docenti circondava la scrivania di Porfido, costretto a girare come una trottola sulla poltrona girevole per ascoltare il pensiero di ciascuno. La prof Antrocof, di origine ucraina, docente di francese, era in piedi e invocava l’intervento di Gorbaciov durante le sue lezioni, per avviare una mini Perestroika che insegnasse ai suoi alunni come si fa ad abbattere un muro; il docente di Fisica, Alex Dell’Angelo Della Bona Nova, convinto della bontà del progetto della collega chiedeva di rivolgersi a Maria Lippi, per poter inviare, attraverso la trasmissione C’è posta per te, una lettera d’invito all’ex premier russo. Il prof Caimano, docente d’italiano, scafato a tutte le pseudo novità, scetticamente asseriva che la Perestroika non c’entrava una minchia, ma che gli alunni avrebbero dovuto seguire la trasmissione televisiva, L’isola dei famosi, per essere avviati alla vita vera. La più assennata fra tutti era la prof di Educazione Fisica, Ciccia La Corta, che pensava che la qualità fosse solo del prosciutto di Parma con il suo marchio DOC. Porfido perse per un attimo il senso della realtà. Chiese, rivolgendosi verso l’unico pertugio libero, cosa bollisse in pentola; poi, consapevole della sua defaillance, si passò una mano sugli occhi e decise che Quinto avrebbe raggiunto la piccola assemblea. Rodolfo Lo Smilzo divenne color pomodoro e sbottò: - Ma cacchio, se siamo qui noi perché chiama Quinto? Allora è vero che è il suo preferito! Osvaldo incalzò: - Le particolarità devono finire, non è possibile che lei imponga lo ius primae noctis, cacchio!
Segaioli non sembrò per nulla scosso dalle loro parole, anzi sorrise bonario: il pelato era alle loro spalle.
- Quinto - sussurrò poi con voce arrochita - scaricami il progetto qualità del liceo classico.
- Allora lo fa apposta - sbottò Lo Smilzo e sbatté la porta.
Osvaldo lo seguì masticando nervosamente una gomma.
Non appena fuori i due si proclamarono in sciopero bianco fino a che Porfido non avesse restituito loro la propria dignità assegnandogli un nuovo corso da gestire senza che Quinto ricevesse alcuna contropartita. Incrociarono le braccia e attesero Del Cozo al varco.
Frattanto il pelato aveva scaricato il file del progetto del Liceo. Uncino e lo smilzo lo guardarono indignati. Il pelato ricambiò lo sguardo, rise compiaciuto e varcò la soglia della presidenza. Del Cozo e io eravamo sul punto di ritirarci nelle nostre stanze, quando il preside ci stoppò: Cosma e Damiano, dove andate? Non sapete che anche voi fate parte del progetto qualità?
Veramente non lo sapevamo, ma prendemmo posto su due seggiole vacanti poste alle spalle di Porfido.
- E’ per pararle il culo - sussurrò all’orecchio del preside Del Cozo, che intrattiene con lui un rapporto privilegiato.
- A proposito - chiese Segaioli - cos’è questo fatto dello ius primae noctis?
Mi sentii in dovere di rispondere.
- Lo ius primae noctis era il privilegio del principe di portarsi a letto la sposa del suddito nella prima notte di matrimonio.
Questo lo so - sbottò Porfido - ma che c’entra con Quinto? che me lo porto a letto io?
Le colleghe presenti sorrisero imbarazzate, Caimano e D’Angelo sghignazzarono.
- Chiariamoci - esclamò Segaioli - io ho moglie e figli!
Del Cozo sbadigliò - E chi lo mette in dubbio… quello non sapeva manco cosa diceva…
Quinto divenne più rosso di una mela Star e cercò di guadagnare l’uscita.
- No, no! – lo fermò Segaioli - e mo che fai te ne vai e io resto qui a dare spiegazioni. Parla anche tu!
- Preside, ma che debbo dire…
- Come, che devi dire? Tu devi parlare!
- Ma, preside, così mi mette a disagio.
- E perché a disagio? Ouh, non ti mettere niente in testa…
- Che mi devo mettere in testa?
- Beh, lasciamo perdere, perché se no qui …
- Eh no, adesso deve chiarire! Anche io ho moglie e figli e non è che mo ci debbo fare la parte del …
Del Cozo intervenne con la sua diplomazia del “sì, avete tutti ragione”: Per carità, qua ci stiamo perdendo in cose di poco conto. Lo sappiamo tutti che Osvaldo non voleva assolutamente alludere a ciò che pensate. Quel ragazzo parla spesso a sproposito, non sa cosa dice in italiano, figuriamoci in latino… il suo problema, come quello di Rodolfo, è di percepire più danaro, che collabori o no ai progetti.
Detto questo si sedette a gambe larghe sulla sponda della scrivania presidenziale e attese le reazioni del pubblico. Quinto e il preside mostrarono di gradire il suo intervento, anche perché chiudeva una questione che stava prendendo una strana piega. Tutti gli ascoltatori, a quel punto, si dichiararono d’accordo con le idee delcoziane e si riprese a discutere del progetto qualità. Segaioli, dopo un po’, dichiarò che era meglio interrompere la seduta perché si era fatta ora di pranzo e la prorogò al giorno successivo.
-Mia moglie mi ripudierà- disse sorridendo- domani è il suo compleanno e io, invece che a casa, starò a scuola.
Un coro di voci da soprano si alzò alto nel cielo.
-Preside - pregò Ciccia La corta autoelettasi portavoce dell’assemblea-spostiamo a dopodomani. Le altre applaudirono a mo’ d’incoraggiamento.
Porfido nicchiò per far sì che il coro divenisse veramente unanime, poi, quando si rese conto che l’androceo non reagiva, con aria sconsolata ripeté che era necessario rincontrarsi l’indomani per rispettare la scadenza del bando del progetto.
Il coro ancillare divenne più forte e accorato, ma non commosse alcuno di noi maschi già pronti a togliere le tende. Del resto eravamo ben coscienti che Porfido, piuttosto che rompersi le palle a casa, preferiva romperle a noi a scuola.
Non appena fuori della presidenza Del Cozo e io fummo abbordati da Osvaldo e Rodolfo. Osvaldo ci offrì immediatamente una gomma da masticare. Da quando ha smesso di fumare per risparmiare, spende una barca di euro in chewingum.
Masticando a bocca piena mi rivolsi a Uncino: ma come cazzo ti è venuto in mente di citare lo ius primae noctis? Lo hai fatto incazzare!
-Ma perché, non è giusto?
- Sì che è giusto, come detto latino, ma tu che cacchio volevi dire?
-Come, non è chiaro? Ius lavoro sino alla prima notte.
-Ma chi è sto cavolo di ius?
- Scusa, in latino io non si dice ius?
- Ma vaffanculo! Ius sta per diritto e lo ius primae noctis significa farsi la sposa prima dello sposo.
-Ma come, davvero? Non è che mi prendi per il culo?
-Senti, se vuoi fare una cosa buona va’ da Porfido e chiedigli scusa. Lui pensava che tu volessi dire che è gay
- Madonna, che ho fatto!
Del Cozo lo consolò dicendogli che tutto poteva essere riparato con le scuse e non insistendo più sulla primogenitura di Quinto. Rodolfo si associò alla richiesta prevedendo ritorsioni anche contro di lui che si era associato nella protesta al suo collega.
Bussarono alla porta di Segaioli. Come al solito Del Cozo e io origliammo. Sentimmo il tono sommesso dei due nel silenzio di Porfido, poi il silenzio dei due tra le urla di Segaioli che li minacciava di provvedimento disciplinare. Uscirono a testa bassa imprecando contro il loro avverso destino. La loro condizione è leggermente cambiata: percepiscono qualche euro in più, ma non hanno smesso d’invidiare il collega pelato che la fa da padrone su due laboratori con il consenso del preside.





Tratto da Cronache di scuola di natalino lattanzi

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