venerdì 14 marzo 2008

Giudizio Universale

Giudizio Universale
Dormiva Manicotto di Sopra.
La notte dolce d'estate recava i mille violini delle zanzare, il canto delle adenoidi ed i sospiri traditori degli sfinteri che facevano finta di nulla.
D'improvviso, un rombo di tuono staccò il silenzio.
La moglie del Sindaco, in prudente apnea, pensò: "Gli avevo pur detto di non mangiarli tutti, i fagioli”.
Ad un tratto si udì una fanfara scomposta di pifferi e tamburi:
“Giudizio Universale!”- annunciò con voce metallica l’angelo battistrada.
Il banchiere Ricotta, colto nel sonno, si sparò una revolverata in bocca e sua moglie Carenina (la "C sta ad indicare la carena della navicella che utilizzava il padre della sindachessa per le sue scappatelle extraconiugali), atterrita ed incontinente abituale, sporcò le mutandine benedette che le aveva regalato il Parroco per Pasqua.
"Et frenum Fiat!"- ordinò profonda e ieratica la voce di Dio.
L’angelo cocchiere tirò invano le redini dei quattro cavalli alati, agguantò il freno a mano e-: ”Porco cane- gridò impaurito- ora cappottiamo!”.
“Fiatque frenum ... Frena, vacca Sodoma!”- trascese il Padreterno, con la barba e quant'altro ritti per lo spavento, all'indirizzo dell'angelo cocchiere.
Il poverino, già sordo di suo (era stato assunto in quota invalidi di guerra della campagna contro Satana del 6042 a.C.), vecchio sino all'indecenza, rintronato da tutto quel latino lui, che discendeva da una famiglia di Angeli Custodi Notturni, quasi tamponava col supercocchio DV (= divino N.d.A.) la torre del Municipio con l'orologio nuovo, se non fosse intervenuto il vigile Boccone ad attaccarsi eroicamente al morso dei destrieri (come aveva visto fare, in un’immagine storica riportata sulla “Tribuna Illustrata”, vecchio settimanale degli anni cinquanta, da un impavido carabiniere).
Frattanto, l'Angelica Post Band (Post sta per Post e Band sta per Band), stonatissima vuoi per mancanza d'esercizio, vuoi per il carattere nevrotico e riottoso dei suoi componenti (recuperati nel girone degli individualisti permanenti e sessuomani insoddisfatti, con la promessa dell’investitura angelica ad aeternum, se avessero fatto bella figura), cercava di mascherare le diaboliche disarmonie soffiando negli ottoni a tutto gas e picchiando con mazzate da orbi sulla pelle dei tamburi.
La caciara, naturalmente, destò di un colpo le duecento anime del paese (eccetto le anime del banchiere Ricotta e della moglie Carenina, che si erano già destate prima). Al grido "I marziani, i marziani! ", i cittadini (o paesani che dir si voglia) scesero in piazza potentemente armati di cineprese e macchine fotografiche per immortalare l'avvenimento. L’ala massimalista, invece, con a capo Girolamo Spurgatopi, figlio naturale di un caporale delle SS fucilato nel convento delle benedettine da una “spogliata” che aveva spogliato, scese in piazza con bazooca e kalashinikov, intenzionata a massacrare gli invasori.
Costatata, poi, l'assoluta mancanza di pericolo, alcuni di loro si prodigarono, addirittura, per l'atterraggio dei Cherubini, consigliandoli con"accosti… a destra dottò! ... Poggia! ... Buono così”-, incuranti dello stato cianotico e preinfartuale del vigile Boccone, mai per l'addietro tanto insopportabilmente giubilato in presenza di terzi.
Ne sortirono parcheggi allucinanti, tamponamenti con morti e feriti, perdita totale, anche se temporanea, delle facoltà d'intendere e di volere, zoppie, oltraggi e violenze carnali fra i messaggeri del Cielo (eppure, alle prove generali, in Paradiso, tutto era filato liscio ...o quasi).
Finalmente, reintegrato il vigile Boccone nelle sue pubbliche funzioni, gli arcangeli Michele e Raffaele (Gabriele si era recato al distributore di benzina per fare il pieno alla spada fiammeggiante, rimasta a corto di carburante) incolonnarono i giudicandi e li tradussero innanzi al Padreterno per la ramanzina ed i sacri insulti precedenti il verdetto (uno a cranio).
Immenso sul palco che il pomeriggio precedente era stato eretto per il comizio del vicesindaco Facente, il Signore si schiarì la voce ed esordì:
”Popolo di Manicotto! Non siamo scesi su questa pubblica piazza per far le pulci ai cani ed ai barboni…”
L’angelo cancelliere suggerì: “Sono la stessa cosa Signore…”.
“Umani, voglio dire… ignorante!”: - s’accanì l'onnipotente piccato per l’improntitudine del suo sottoposto. Poi riprese con severità: “… bensì onde procedere (quel "onde" - impensierì all'istante la platea) alla formale instaurazione di giudizio di merito, alieno da ogni e qualsiasi pregiudizievole processuale e non avverso i Manicottesi tutti”.
Il gelo era tangibile nella folla; un batter di denti e di dentiere accompagnò la voce roca dell'avvocato Consulto: “Signor Giudice eccepisco…” .
“Eccezione respinta!- s’incacchiò il Padreterno- la quaestio persegue gli imperscrutabili miei fini e, come si dice tra voi mie creature, fatevi i c… vostri. Dunque, andiamo a incominciare! Angelo Cancelliere, a Lei!”
L'Angelo Cancelliere cercò il Divino Registro
“Era qui due minuti fa”- disse impaurito, col sudore che gli grondava dalle ascelle. Infine, semisoffocato dalla gioia per l’essersi ricordato che gli si era seduto sopra, cavandolo da sotto il sedere: "Signor Mastro Peppino! ... Signor Mastro Peppino!”- rantolò.
"Ragioniere, prego! "- s'adontò quello con sussiego.
“Non sottilizziamo!…-proruppe il Signore – sappiamo come cavolo sia diventato ragioniere.”
Mastro Peppino arrossì e zittì., mentre tutt’intorno si alzava un mormorio di disapprovazione
“Raccomandato di merda!”- s’alzò una voce dal fondo.
L’Angelo Cancelliere procedette con tono inquisitorio: “Signor Mastro Peppino, come ha impiegato i talenti?”.
E aspettò, battendo il piede destro con impazienza.
Il ragioniere si grattò il capo con espressione fessa, rifletté un po’, poi dichiarò:
“Non credo di aver mai posseduto talenti, lo confesso; trascorro una vita serena grazie alla dote di mia moglie, pace all’anima sua… no, talenti proprio no… non sono un collezionista. Se poi si riferisce agli euro, debbo dire che è stata una gran fregatura il passaggio dalla lira alla moneta europea. Si spende molto di più… ma non credo –aggiunse impaurito dall’occhiataccia del Padreterno- sia questo il luogo...”.
“E dice bene- lo interruppe il Signore- mi riferivo ai talenti della parabola di mio Figlio!…Sa- continuò poi con tono di scusa- a lui piace raccontare, scrivere: si è messo in testa che è un grande scrittore, un oratore eccezionale… Gabrieleee! Porca Gomorra! Ma quando torna ‘sto cavolo di Arcangelo? Mi serve qui!”.
Gabriele era indaffarato con la pompa di benzina.
A corto di monete, cercava di convincere il benzinaio a fargli il pieno alla spada fiammeggiante, promettendogli una raccomandazione presso l’Onnipotente, un’indulgenza stratosferica per abbreviare il suo percorso da penitente. Ma quello, no, resisteva alle lusinghe e solo quando l’Arcangelo gli firmò un “pagherò” a brevissima scadenza, lo accontentò.
La spada sfolgorò per qualche secondo, poi si spense.
Gabriele s’incacchiò come solo gli arcangeli sanno fare: “Ma Eva peripatetica!- sbottò- cosa cacchio hai messo nel serbatoio della spada? Non si accende!”. E dalli a provare e riprovare a scaldare l’acciarino che portava nella tasca interna della veste candida.
Il benzinaio arrossì e tentò di scusarsi dicendo che aveva fornito solo ecodisel purissimo, che non gli era mai capitata una cosa simile, che la spada era ingolfata, ormai vecchia e che, forse, era giunto il momento di procurarsene una più efficiente… via, anche un usato garantito.
L’Arcangelo, spazientito, tirò fuori, sempre dalla solita tasca interna, il libretto di “folgorazione” rilasciato dal DVPRF (Divino Provveditorato Revisioni Folgoranti), con l’ultima data di revisione e lo mostrò al benzinaio con fare minaccioso: “Legga, stupido, lei non conosce il suo mestiere!”.
Il benzinaio prese il documento fra le mani, lo osservò con cura, era quasi per restituirlo sconsolato al messo di Dio, quando si accorse di una postilla a margine dell’ultimo foglio del libretto.
“Ecco, vede?- esclamò trionfante- è scritto qui!Leggo testualmente: E’ fatto obbligo al possessore della spada fiammeggiante, matricola AG. (AG.sta per Arcangelo Gabriele) di provvedere entro e non oltre trenta universali alla sostituzione della pompa di iniezione della su detta spada, pena il ritiro della patente. Segue la data: Alto dei Cieli, 22 divinario 290000743. Come vede…”- concluse raggiante il pompista.
“Gabrieleeee!”- tuonò la voce del Signore.
“Debbo andare!”- tagliò corto l’arcangelo e si allontanò frettoloso.
“Dove diavolo ti eri cacciato?- lo rimproverò l’Onnipotente- sostituisci il cancelliere che è afono per il gran gridare”.
Gabriele prese posto sullo scranno, si schiarì la voce, dette uno sguardo all’elenco spuntato sino alla lettera erre e cominciò: “Sanfilippo Giov…”.
“Vai avanti- lo interruppe spazientito l’Onnipresente- non vedi che è santo?”.
“Santapaola Ren…”.
“Ma cacchio fai?- lo interruppe ancora Dio- salta i santi, per Dio!”.
Gabriele provò ad eccepire, ma fu messo a tacere in malo modo.
Il Signore si sistemò sul trono che nel frattempo gli avevano portato i cherubini, strappò l’elenco dalle mani di Gabriele e, personalmente, riprese le convocazioni.
“Ah ah, eccone uno a fagiolo- ridacchiò leggendone ad alta voce il nome- Satanasso Luciano!”.
Un “macho” nerboruto, a torso nudo, tatuato sino all’ombelico di oscenità da far rabbrividire persino un intero convento di monache di clausura, stretto tra due donne procacissime, due occhi celesti, che ogni tanto scopriva portando sulla fronte spaziosa un paio di occhiali da sole griffati, lunga e fluente capigliatura bionda chiusa da un “codino”, avanzò strafottente verso l’Onnipotente.
“Come hai speso i tuoi talenti?”- lo assalì il padrone dell’universo, con sguardo torvo, chiedendosi dove avesse visto quella faccia.
“Maestà…”- ironizzò l’interpellato.
“Porco cane! -lo interruppe Dio – non sai chi sono?”.
“Eccellenza…- riprese il gaudente.
“Santo Dio- s’inviperì Il Signore- sono Dio, per Giuda!”.
“Dio- riprese con condiscendenza il belloccio- i miei talenti, quelli che tu mi avevi dato, non ho potuto spenderli. Quando tentai di farli fruttare, tu mi punisti. Io sono Lucifero…”.
“Sempre fra le palle…”-pensò Dio-.
“…il tuo angelo preferito- continuò il diavolo- e poi scacciato dai cieli quando ho tentato di imitarti. Volevo far fruttare i talenti che mi avevi dato, ma l’ho preso nel boffice. Ora sfarfalleggio per i mondi e porto con me non i rimasugli, gli avanzi del tuo pranzo, ma il fior fiore delle creature. L’ultimo che ho plagiato è già nel girone dei satiri spocchiosi; io lo animo sulla terra, pruriginoso come era, per trascorrere qualche giorno di materialità, come consento, a turno, a tutti i miei collaboratori”.
Gli arcangeli lo guardarono con ammirazione.
Gabriele, che non aveva ancora “digerito” il fatto di essere stato estromesso in malo modo dall’incarico di annunciatore del Giudizio, si fece coraggio e alzò la mano per chiedere la parola.
Dio lo guardò in tralice.
“Che vuoi? Lasciami lavorare!”- s’incazzò.
“Padrone- disse l’Arcangelo- colgo l’occasione per annunciarti quali sono le rivendicazioni sindacali della mia categoria, formulate nell’ultima assemblea del Consiglio degli Arcangeli ”.
Il Signore tentò di zittirlo, ma Gabriele, che ormai aveva rotto il ghiaccio, non si fece intimorire e, cavato dalla tasca interna della tunica bianca un foglio pergamenato, continuò:” Non leggo i preliminari per non annoiare il rispettabile pubblico- e s’inchinò- perciò passo subito alle richieste…”.
Dio, con fare bonario gli consigliò di rinviare la questione al prossimo Consiglio di fabbrica perché era bene lavare i panni sporchi in famiglia, perché era disponibile, da sovrano illuminato, non ad esaudire, ma a prevenire i desideri della sua manovalanza, ecc… ecc…
Ma Gabriele, dopo aver bevuto un paio di sorsi di un liquido presumibilmente ad alta gradazione alcolica da una fiaschetta d’oro che aveva tirato fuori dalla solita tasca interna, face il segno del ”time out”, applaudito da tutta la schiera di angeli e arcangeli (i cherubini si dichiararono neutrali), inforcò gli occhialetti da presbite e, dopo essersi schiarita la voce, lesse: ”a) chiediamo un turno di riposo settimanale, come hai fatto tu quando, di domenica, hai interrotto la Creazione; b) il lavoro straordinario deve essere retribuito con crediti da spendere nelle boutiques celestiali e non passare “in cavalleria”, come è accaduto sino ad oggi; c) le spade fiammeggianti e tutte le altre “macchine” utili all’ordine pubblico nel Paradiso debbono essere sostituite ogni morte di papa e non revisionate ogni trecentomila anni come accade ora; d) la turnazione di sorveglianza davanti la porta dell’inferno deve essere gestita da noi e non da tuo figlio che si dedica troppo alle cene –figurarsi- si rivolse all’uditorio- l’ultima doveva essere quella di duemila anni fa!…- e poco alla gestione dei registri; e) si smetta una volta per tutte con la favoletta che angeli ed arcangeli siano asessuati; onde per cui (quel “onde” impensierì anche Dio) chiediamo con forza -è, infatti, un punto su cui non si transige-, come avviene per i nostri colleghi al servizio di Lucifero, che ci sia concessa qualche materializzazione per spassarcela un po’ sulla terra. Concludo: se non ci sediamo al tavolo delle trattative con serietà- e guardò i compagni a chiedere sostegno- indiremo uno sciopero generale ad oltranza. Ho detto!”- e tirò fuori un sospirone liberatorio.
Michele e Raffaele applaudirono sino a spellarsi le mani e a spiumare per la velocità che impressero al battito delle ali.
Satanasso, ovvero Lucifero, salì sul palco e, sotto lo sguardo esterrefatto di Dio, si congratulò con Gabriele.
L’Onnipotente sobbalzò sul sacro trono, si levò in piedi in tutta la sua possanza metafisica e, poggiando le mani sui fianchi e dondolandosi, arringò la platea:
“ Italiani, Manicottesi tutti, l’imperativo è vincere… e vinceremo! Siano stramaledetti gli Ingle… Volevo dire- si corresse- siano maledetti i ribelli! Questo branco di bastardi sarà cacciato nelle profondità degli inferi se non accetterà le mie condizioni.Tutti coloro che sono con me mi seguano e… boia chi molla!”.
Alle parole del Signore, che è in cielo, in terra e in ogni dove, i Manicottesi atterrirono: un odore di stallatico si diffuse per l’aere e ampie pozze assunsero contorni da fattucchiera sul selciato rifatto di fresco.
Gli arcangeli, seguiti dagli angeli e questa volta anche dai cherubini (che oramai pensavano di aver fatto la scelta giusta schierandosi con Gabriele per la guerra sindacale lampo, condotta con tanta maestria dall’arcangelo), tirarono fuori dalle solite tasche interne delle tuniche le vecchie e gloriose bandiere rosse della vittoriosa campagna del 200032, combattuta contro gli dei pagani capeggiati da Juppiter Massimo (Mino per le sue concubine e i più stretti collaboratori), e, capeggiati da Lucifero, inscenarono una manifestazione di protesta colorita da insulti scurrili e goliardici nei confronti del loro datore di lavoro.
“Non c’è più religione!”- protestò Dio, sconcertato da tanta arroganza, e, alzato il capo, fulminò tutta la marmaglia con l’unico occhio che l’iconografia cristiana gli riconosce.
Ci fu un fuggi fuggi generale: Lucifero, colpito nel fondo schiena si eclissò preferendo le sue anfrattuosità immonde al bel panorama manicottese che, come è possibile osservare dalle foto turistiche esposte nell’unico minimarket e nelle tre tabaccherie del paese, sfoggia bellissime colline incastonate sulla circonferenza del lago Albino (così detto per il candore delle acque in cui confluiscono gli scarichi dell’industria del latte, la Manicottolat, pubblicizzata sulle reti televisive locali ogni trenta secondi di trasmissione).
I cherubini furono trasformati in immagini marmoree ad abbellire il frontespizio della chiesa madre cittadina, mentre i tre arcangeli, con le ali fra le gambe, furono incatenati alla “colonna infame” che era al centro della piazza.
“Giudizio Universale!”- tuonò il Padreterno.
“Giudizio Universale!”- dissero in coro i Manicottesi tutti.
I tamburi ripresero a rullare battuti dalle mazze rotanti dell’Angelica Post Band, mentre il vigile Boccone, per riaversi dallo shock da traffico cui era stato sottoposto in tutto quell’andirivieni assordante, seduto sul marciapiedi antistante il Municipio, rullava il suo primo spinello, offertogli dal trombettista del complesso, Sebastian de la Columbia.
“Giudizio Universale!”- ripeté con scarsa convinzione Dio, ormai a corto di argomenti.
“Giudizio Universale…”- mormorò il popolo di Manicotto non capendo dove volesse andare a parare l’Onnipotente.
Lo Spirito Santo si posò sulla spalla del Signore dell’Universo e, come un pappagallino delle Azzorre, scandì con voce stridula: “Giudizio Universale… Giudizio Universale!…”.
Dio lo guardò con commiserazione, commiserò se stesso, si passò una mano sulla fluente chioma bianca, chinò i rai fulminei, si alzò dallo scranno d’oro massiccio tempestato di diamanti e, con passo stanco, si avviò verso la Via Lattea, seguito dallo stuolo dei giudicati che marcivano al passo dell’oca e cantavano inni soprannazionali.
La nebbia raccolse la processione nel suo manto e Manicotto divenne il paese fantasma in cui, ancor oggi, si sente lo stridore delle catene che legano gli Arcangeli alla “colonna infame”.
scritto a quattro mani da Lello e Natalino Lattanzi

1 commento:

Anonimo ha detto...

Divertente! In molti punti divertentissimo. Mai scontato. Signor Lattanzi che bella trovata. Quando ho letto il titolo ho pensato il solito racconto le solite idee scontate. Mi son detto vabbè leggo, così, solo l'inizio. Non sono riuscito a fermarmi, ridevo da solo! Lei e il suo compagno di scrittura siete riusciti a scrivere qualcosa di assolutamente imprevedibile su un tema abusato, e quindi difficile. Bellissima la figura dell'arcangelo, bellissimo il dio che a un certo punto quasi si mescola con l'uomo, bello tutto il "processo", un po' kafkiano. Divertente però profondo. Mi piace.
Buona Pasqua!
Aldo Accettura